Articolo di Jennifer Carminati | Foto di Andrea Ripamonti
L’estate 2023 è strana, nelle ultime settimane ha visto temperature incandescenti scendere rapidamente grazie a violenti temporali. E quale migliore occasione per riportare il clima a livelli infernali che un concerto a Bologna, da sempre nota per il suo clima umido e per divenire da maggio in poi una serra a cielo aperto?
Tanto noi questa sera saremo in ottima compagnia, buona musica, pubblico quello giusto che piace a me, location estiva del Link Club di Bologna, immersa nelle campagne, per cui almeno per qualche ora, sentiamo meno il caldo e le zanzare attorno a noi e ci addentriamo in quello che sarà un vero e proprio viaggio musicale.
Affluenza sopra le aspettatiive, difficile quantificare esattamente visto che siamo in un parco, ma credo ci fossero ben oltre le 500 persone questa sera, un vero successo insomma, se consideriamo la data infrasettimanale e le band sul palco: due realtà underground che, per quanto note in tutto il mondo, non hanno mai sfondato a livello mainstream, ma sono considerati, e sempre lo saranno visto le esibizioni a cui danno ancora luogo, un vero e proprio punto di riferimento per gli amanti non solo del grunge, ma anche del metal e del rock nel senso più ampio del termine.
I Melvins quest’anno compiono 40 anni di carriera e decidono di festeggiarli anche qui da noi, grazie a Hellfire Booking Agency, per due date, quella di ieri allo Spazio 211 di Torino e quella di oggi, mercoledì’ 12 luglio, come detto, al Link Club di Bologna.
Questo pezzo di storia della musica, con questo tour celebrativo, sta finalmente raccogliendo consensi in tutte le date che stanno facendo in giro per il mondo, e questa sera non sarà certo da meno, regalandoci un concerto eccezionale, come solo dei grandi professionisti come loro possono fare. E il pubblico questo lo capisce, lo apprezza e se può, come quest’oggi, presenzia fieramente tra le prime file, o anche comodamente seduti sulle panche e i numerosi tavoli messi a disposizione nella location. L’importante è esserci, con una birra in mano e in buona compagnia meglio ancora.

UFOMAMMUT
Opener della serata il trio piemontese Ufomammut, vera e propria eccellenza italiana, fortunatamente conosciuti anche all’estero, grazie ai numerosi concerti che i nostri hanno fatto negli anni di supporto a band note che han dato loro visibilità e permesso di aumentare la propria fanbase anche oltr’Alpe.
Personalmente amo le loro opprimenti sonorità stoner/sludge/doom che in sede live raggiungono la dimensione ideale, tra quattro mura ancora meglio, ve lo posso garantire. Nel 2020 annunciarono lo scioglimento ed è quindi ancora più bello rivederli oggi sul palco impegnati a promuovere il loro ultimo album Fenice, uscito lo scorso anno che, devo ammettere, mi ha spiazzato ad un primo ascolto e ne ho dovuti fare parecchi altri, con piacere si intende, per capirlo al meglio, e non vedevo l’ora ci fosse l’occasione di sentire come suonava in sede live, in cui i nostri son veri maestri. Chi li conosce bene come me sa benissimo cosa aspettarsi, pochissime parole e tanto spazio alla musica, con un incedere incessante di riff mastodontici ed effetti sonori dati da basi registrate e pad sapientemente usati dai nostri ma anche da, lasciatemeli definire, “rumori e suoni”, che spesso provengono dagli strumenti, ma talvolta sono creati appositamente per dar luogo a momenti di vera trance, in cui i corpi e le teste di tutti noi presenti si muovono a ritmo come rapiti da queste atmosfere ipnotiche e psichedeliche. Quello che mi ha sempre particolarmente colpito di loro è il muro sonoro che i tre riescono a ergere sul palco, massiccio e pesante, creando vibrazioni continue provenienti dalle casse che ti risuonano dentro, con il basso monolitico di Urlo a farla da padrona: la sua voce spesso distorta, sembra provenire dallo spazio, e sa destreggiarsi benissimo tra timbriche lancinanti e sofferte e più pulite, dando luogo a qualcosa di unico nel panorama nostrano sicuramente.
Nelle loro canzoni, psichedelia e cosmo si fondono in un tutt’uno con i pesantissimi riff ossessivamente ripetuti di Poia alla chitarra, che durante l’esibizione spesso scambia sguardi d’intesa con i due compagni, sorretti dall’incedere mastodontico di Levre, precedentemente tecnico della band, ora alla batteria, e in quest’ora con loro sembra davvero di prenderci addosso, uno dopo l’altro come i pezzi della scaletta proposta, dei macigni pesantissimi che si staccano da quel muro ad un ritmo costante, al limite dell’ossessivo, che inevitabilmente porta ad un lento headbanging spesso ad occhi chiusi, come la sottoscritta ha fatto, in un trasporto totale generato dalla loro musica che è cresciuto sempre più col passare del tempo a loro disposizione.
Non avrebbe senso menzionare i singoli brani della scaletta, detto che ha prevalentemente dato spazio all’ultima release in studio, perché nel caso degli Ufomammut è il concerto nella sua interezza che deve essere raccontato, commentato e nei limiti della visione personale, giudicato. I nostri, tra l’altro persone estremamente umili e genuine, con una birra in mano sempre pronte e disponibili scambiare quattro chiacchiere con il pubblico e lasciare autografi, ti portano all’interno di un vero e proprio viaggio musicale dalle tinte cupe e devastanti a cui è impossibile rimanere indifferenti, e vi consiglio di andare a vederli in un locale al chiuso perchè tutto questo viene amplificato da proiezioni di immagini di spazio e natura alle loro spalle che rendono ancora più catartico e immersivo un loro concerto.
Gli Ufomammut sono solo in tre ma suonano come fossero una mandria rabbiosa di mastodontici pachidermi che travolge tutto quello che trova sul suo cammino, ed è esattamente quello che hanno fatto anche questa sera, in questa esibizione al solito loro perfetta sotto ogni punto di vista, sentita con passione e voglia di esserci su questo palco, ventitré anni dopo l’inizio della loro carriera. Grazie ragazzi per questo trip allucinato e cosmico tra le vostre sonorità e ancora di più grazie per non averci lasciato; speriamo che la Fenice da voi scelta come simbolo del nuovo album vi sia di buon auspicio e rappresenti appieno la vostra volontà di andare avanti, rinascere ed evolvere, il mondo della musica ha ancora bisogno di voi.
Breve inciso: dopo mezz’ora dall’inizio dell’esibizione l’impianto audio è saltato e i nostri sono stati interrotti bruscamente, ma come solo i grandi musicisti sanno fare, pochi minuti dopo hanno ripreso come nulla fosse, che dire, chapeau.
Alla fine della loro esibizione ci si sente straniati, come assorbiti da una spirale ipnotica da cui non sai come uscirne, ma pienamente soddisfatti di aver assistito a qualcosa di davvero bello e forse irripetibile nell’unicità che ogni live porta inevitabilmente con sé, e siamo solo all’inizio della serata.

MELVINS
Trenta minuti di pausa mi permettono di bermi una birretta e conoscere un po’ di persone come me in trasferta per vedere questo concerto assolutamente imperdibile, anche se questo significa prendere ore di permesso e saltare le notti per essere operativi l’indomani al lavoro; ma per la musica dal vivo si fa questo ed altro, e posso ben dirlo per esperienza. E quasi non si sentono il caldo soffocante che ci attanaglia e ste maledette zanzare che ci assalgono anche attraverso i vestiti, quasi eh…
Sono le 22 quando sulle note di Take on me degli A-Ha sul palco spunta dal nulla il cespuglio brizzolato di Buzz Osborne e il pubblico magari in coda per prendersi qualcosa da bere o mangiare, abbandona la fila di corsa e si lancia letteralmente verso la band, rispondendo al richiamo dell’imponente frontman che son ben felice di ritrovare sempre in forma e fedele alla sua immagine alternativa e irriverente che lo contraddistingue da sempre.
I Melvins hanno cambiato il volto della storia divenendo una delle band più influenti degli ultimi 40 anni e questo è un dato di fatto inconfutabile. La loro sperimentazione sonora non ha eguali, mischiano metal al punk, son stati definiti tra i maggiori interpreti del rock alternativo e la loro impronta nel mondo della musica è ben piantata nel terreno, con uno spessore che va ben oltre qualche centimetro. Mi fa strano pensare che quando loro nacquero artisticamente 40 anni fa ad Aberdeen, stato di Washington, io invece venivo alla luce nel senso vero del termine nelle sperdute valli bergamasche, ma ora son qui a vederli su di un palco per la quarta volta nella mia vita ed è un’emozione fortissima, anche per certe associazioni personali che faccio con questo gruppo.
I Melvins stanno sul palco silenziosamente lasciando che la loro musica parli da sé, non interagiscono molto col pubblico, cosa che spesso vedo come una grave mancanza è vero, ma a loro credo possa essere concesso, l’empatia con chi sta sotto il palco la sanno creare, eccome, lo stesso anche senza dialogare direttamente con noi. Sin da subito si riconoscono i suoni che contraddistinguono la linea compositiva della band capitanata dall’istrionico Buzz Osborne, ovvero atmosfere cupe, nessuna apertura melodica, nessun attimo di respiro nella loro scaletta che scorre a ritmi incalzanti, con un effetto finale pesantemente claustrofobico, al limite del soffocante, come se non bastasse il clima di oggi.
Il loro è un sound ben definito, che fa muovere meccanicamente la testa avanti e indietro, restando fermi nella propria posizione in certi pezzi, ma in altri ti scatena invece la voglia di saltare e pogare, insieme agli altri presenti oggi al Link, versione estiva, come detto inizialmente affollato a dar loro il giusto tributo.
L’eccentrico Buzz Osborne insieme all’altrettanto carismatico Steven McDonald al basso e Dale Crover dietro le pelli, ci conducono all’interno di questo viaggio attraverso la loro ampissima discografia, passando tra i grandi classici come Zodiac e Your Blessened dal loro seminale album Bullhead del 1991, ai più recenti Hammering o Snake Appeal dall’ultimissimo album The Devil You Knew, the Devil You Know.
Personalmente, il loro lavoro che ho più divorato di ascolti, è stato Houdini del 1993, e son stata ben contenta che questa sera ci abbiamo riproposto ben tre pezzi, quali la sfuriata sludge Copache e l’incedere nevrotico di Honey Bucket e Night Goat. Questo album era genuinamente quello che poi sarebbe stato definito grunge, da sempre ormai assimilato a gruppi come Nirvana, Alice in Chains, Soundgarden e i miei adorati Pearl Jam. Per questo è doverose dire che i Melvins hanno fatto la storia della musica ed è impensabile non menzionarli come fonte d’ispirazione di tutti i gruppi nati dopo di loro, grazie anche all’enorme importanza e rilevanza della gran quantità di materiale da essi generato negli anni (andate un po’ a vedere quanti album hanno fatto e capirete che intendo).
Momento particolarmente divertente il duetto alla voce tra Osborne e McDonald sulle note di I Want To Hold Your Hand, omaggio ai Baronetti di Liverpool, reso in una versione rivisitata nel loro inconfondibile stile.
È davvero piacevole farsi investire dalle sonorità del terzetto statunitense e la loro esibizione è talmente frenetica, con un pezzo di successo dietro l’altro a comporre la scaletta, da non accorgersi quasi di essere arrivati alla fine con Boris, uno dei loro brani più emblematici, dove ritroviamo un riff pachidermico che ci tartassa i timpani in maniera incessante ed ossessiva per un’ultima volta quest’oggi, purtroppo.
Si conclude così una serata davvero speciale e nel rientrare verso l’alloggio preso per la notte, solo quando tutta l’adrenalina e l’entusiasmo calano ecco che arriva la stanchezza a ricordarmi che i 40 anni li ho compiuti anche io, e certi ritmi li reggo meno, ma la passione immensa che ho per la musica e un concerto da manuale del rock come quello di oggi, mi ripagano di ogni fatica. Come sempre quando tocco il cuscino dopo un live le mie orecchie sanguinano felici e vado tra le braccia di Morfeo contenta e con la voglia domani in treno mentre rientro verso Milano di riascoltare il meglio della loro discografia mentre scriverò questo report.
«I Melvins sono il passato, presente e il futuro della musica»: così li definì Kurt Cobain, e penso che non possa esserci conclusione migliore di questa.
Clicca qui per vedere le foto dei Melvins al Link Club di Bologna (o sfoglia la gallery qui sotto)
MELVINS: la scaletta del concerto al Link Club di Bologna
Snake Appeal
Zodiac
Copache
I Want to Hold Your Hand (The Beatles cover)
Hammering
Never Say You’re Sorry
Evil New War God
Let It All Be
Blood Witch
Your Blessened
A History of Bad Men
Honey Bucket
Revolve
Night
Goat
Encore
Boris
