Articolo di Roberta Ghio | Foto di Lara Bordoni
Si conclude al Teatro dal Verme di Milano il tour Riaccolti in Teatro dei Modena City Ramblers, che a distanza di vent’anni ritornano, in teatro appunto, per riproporre grandi classici, in nuova veste, ma non per questo meno potente.
Ad accoglierci, un palco privo di scenografia, fatta eccezione per il telo raffigurante, in toni scuri, il gruppo di suonatori stilizzato che fa da manifesto al tour. Il modo in cui sono disposti gli strumenti, ad ampio semicerchio, ci fanno sentire al centro della scena e regala quella piacevole sensazione che si prova quando ci si ritrova con amici per suonare e cantare insieme. Ma se in quelle occasioni possiamo contare al più su un paio di chitarre, qui ci lustriamo gli occhi con piano, fisarmonica, violino, flauti, banjo, bouzouki, mandolino, batteria, percussioni, fino ad arrivare ad una sontuosa balalaica e un altrettanto imponente contrabbasso. Un tripudio di legno pronto a scatenarsi, un tripudio di strumenti che dalla platea vedo come gemme incastonate nella chiara parete che fa da fondo palco, in un tono su tono che invece che annegare, risalta. Buio in sala, eccoli entrare con la naturalezza che li contraddistingue, prendere posto e sulle note di fisarmonica dare via al live con Delinqueint ed Modna, un tuffo negli esordi della band e nel sound dei Modena, che ci porta dritti nella serata.
Con un grande sorriso e il suo timbro solenne, Davide “Dudu” Morandi in completo a quadrettoni, ci accoglie e dà il benvenuto nella Grande Famiglia, introdotta dal botta e risposta tra banjo e batteria, in cui anche le luci hanno da dire la loro e sanciscono ogni colpo illuminando tutti.
Come anticipato, la resa teatrale dei brani in scaletta non fa perdere potenza ai grandi classici dei MCR. I volumi non si sono abbassati, gli arrangiamenti non hanno modificato la velocità, anzi. L’acustica del luogo aiuta a cogliere le molteplici sfumature presenti in una manciata di note e fa apprezzare ancora di più la maestria dei musicisti. La voce di Dudu se possibile è ancora più penetrante e solenne, non si perde alcuna sillaba. Le luci sapientemente esaltano le diverse storie cantate, suggerendo lo sguardo verso uno strumento, piuttosto che alla visione di insieme o impedendo quasi la vista per favorire l’immersione totale in suoni e parole. Dopo aver aperto sguardo e sorriso con Riaccolti, ci abbandoniamo al ritmo incalzante di Volare controvento, con tanta parola lasciata alle percussioni. Non sono solo le sonorità a contraddistinguere il combat folk dei Modena, ma i contenuti dei loro brani, in cui sono sempre presenti i valori come l’amore, i diritti, l’uguaglianza e la libertà. Lo straniero pazzo, che dopo l’intro intimo lasciato al violino, esplode veloce a tinte gitane, anticipa la reboante Quarant’anni e se si rinuncia più o meno facilmente alla birra, stare seduti brano dopo brano diventa sempre più difficile.
La setlist, strutturata sapientemente, ci porta verso una coppia di brani che se per un verso calmano gli animi dal desiderio di alzarsi e saltare, dall’altro li accendono per rabbia e indignazione. Ascoltiamo La strage delle fonderia, brano dedicato agli uomini morti mentre lottavano per i loro diritti e Il giorno che il cielo cadde su Bologna, profonda, toccante, con i colpi sul tamburo che ti scoppiano nello stomaco ed un finale lasciato al suono di campane tubolari che, come un alito di vento, porta con sé Maria e tutti gli innocenti le cui vite vennero spezzate in uno dei più gravi attentati terroristici avvenuti in Italia. Dopo un viaggio in sud america, lungo la Carretera Austral, ritmata, languida, conosciamo Remedios la bella, personaggio straordinario di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garçia Marquez. La resa in teatro è strepitosa, intima, straziante, il “la la la la” ti fa chiudere gli occhi e quando li riapri solo due spessi fasci di luce orizzontali di fronte a raffigurare la terra, sotto, resa dal giallo oro e il cielo, sopra, reso da un accecante blu. Brano straordinario, resa perfetta. Lasciata Remedios, andiamo a conoscere la storia de la perla nera. Ebano. Introdotta dalla chitarra classica, le cui corde risuonano precise in un teatro intento all’ascolto, viene accolta da quel brusio che nasce istintivo quando arriva un brano che aspetti. Intima, struggente. I battiti si alzano e qua e là anche qualche pugno al cielo per il ritmo impetuoso che sa di Irlanda de Mia dolce rivoluzionaria.
E poi il buio. Riconosciamo il suono dei tamburelli sul cajon che istintivamente fanno partire il battito di mani in platea. Ci ritroviamo così a creare insieme la base per I cento passi. Esplosione di luci, c’è chi balla nelle balconate e nei corridoi, chi si abbraccia, io, come mi capita ad ogni ascolto, ho un nodo in gola, che non mi impedisce di cantare colui, Peppino Impastato, che sostenendo l’importanza di educare alla bellezza e denunciando con ogni mezzo le mafie, ha pagato con la vita. Un brano intenso, in cui il racconto di una vicenda dal tragico finale si sposa perfettamente ad un ritmo travolgente. Chiudono la prima parte In un giorno di pioggia con un teatro che canta a squarciagola e Specchio dei miei sogni.
Al rientro, l’arrivederci è lasciato alle parole de La strada, che suona come un abbraccio dopo la serata trascorsa insieme, ma il gran finale è tutto per Bella ciao, iniziata nel rosso sulle note del flauto, seguito dalla chitarra acustica. Siamo tutti in piedi, emozionati e grati, non c’è tristezza, solo parole cantate a gran voce. Quelle parole mi vennero insegnate da mio nonno, ormai tantissimi anni fa. Allora non sapevo chi fosse “il partigiano”, ma capivo che era “morto per la libertà”, una cosa grossa, anche per una bambina piccola. Mentre mi guardo intorno e penso al nonno e a cosa direbbe nel vedere e sentire quel brano in un teatro, su un arrangiamento folk rock così incalzante, lo sguardo si ferma su un bimbo, in spalla al suo papà. I suoi occhi brillano di quell’entusiasmo che solo i bambini hanno, mentre a modo suo canta “La Libertà”. Esco con questa immagine nella mente, grata a tutti quei genitori che sanno trasmettere la nostra storia ai loro bambini e grata ai MCR, che anche nella dimensione del teatro sanno sferrare colpi che vanno dritti al segno, emozionando con i loro testi, affascinando con la loro cultura e bravura di musicisti, trascinando con il loro ritmo.
Clicca qui per vedere le foto dei Modena City Ramblers in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
MODENA CITY RAMBLERS – La scaletta del concerto di Milano
Delinqueint ed Modna
Grande Famiglia
Riaccolti
Volare Controvento
Il posto dell’airone
Mani in tasca e rami nel bosco
Lo straniero pazzo
Quarant’anni
La strage delle fonderie
Il giorno che il cielo cadde su Bologna
Carretera austral
Remedios la bella
Grande fiume
Al fiomm
Libera terra
Seduto sul tetto del mondo
Ebano
Radio tindouf
Pasta nera
Mia dolce rivoluzionaria
I cento passi
In un giorno di pioggia
Specchio dei miei sogni
—
La strada
Bella ciao

Ivana
22/02/2020 at 11:11
Grazie Daniela per il tuo Splendido Articolo sul concerto dei MCR a Milano
Li hai descritti in tutta la loro bellezza e Bravura con uno stile Magistrale ….
Bellissimo