Articolo di Silvia Cravotta | Foto di Davide Merli
Il 2024 è stato un anno da dimenticare e allo stesso tempo da celebrare per i Palaye Royale, che ieri sono tornati a Milano, dopo i concerti di Roma e Bologna del luglio scorso. A dare l’occasione il Death or Glory tour che prende il nome dal loro quinto album, uscito il 30 agosto. Solo pochi mesi prima i tre fratelli di Las Vegas avevano perso la loro amatissima madre, Stephanie Rachel Cowper, punto di riferimento per la band visti anche i difficili rapporti con il padre (al punto da non utilizzare il cognome paterno, Kropp, sostituito dai loro secondi nomi) e così importante per l’universo musicale del trio di origini canadesi che la loro devota fanbase – i Soldiers of the Royal Council – ha scelto di condividerne le iniziali del nome.
Ma i tre non hanno voluto che la morte prendesse il sopravvento e – nonostante il dolore – hanno scelto di puntare alla gloria, partendo per un tour che li ha portati prima in America e poi in Europa, dove tra le 26 tappe l’unica italiana è stata quella di ieri sera all’Alcatraz di Milano. Un percorso che li ha portati a realizzare il sogno di suonare nella Wembley Arena di Londra e che ha permesso a questo trio rock che va oltre i generi (art? alt? glam? punk? garage?) di portare nel Vecchio Continente la loro originalissima miscela di teatralità, energia e rock tonante.
A precederli nel ruolo di spalla una triade decisamente eterogenea, ma che nel suo insieme ha funzionato bene e scaldato un pubblico che era lì anche per loro. A partire da Huddy, cantante, attore e influencer americano, che ha dato il via alla serata in un orario inaccessibile per chi arriva dal lavoro (come chi scrive) ma che non ha impedito a un pubblico giovane di cominciare ad affollare il parterre già subito dopo l’apertura delle porte. Pubblico anch’esso abbastanza variegato, con la giusta e prevedibile quantità di emo – vedi alla voce pizzi, reti, capelli colorati, piercing, septum, rossetti rouge-noir e outfit in linea –, genitori in fondo alla sala in veste di accompagnatori ma anche insospettabili capelli bianchi, che hanno fatto la loro parte godendosi la serata esattamente come gli altri.

Come seconda band di supporto sono saliti sul palco gli I See Stars, ma più che un opening il loro è stato un miniconcerto, una sorta di anteprima di quello che ci aspetta, visto che alla fine della loro esibizione hanno annunciato che torneranno nel 2025. Decisamente la band più affine agli headliner di stasera, grazie al loro electro-rock scintillante come la maglia del frontman Devin Oliver, che ha tirato fuori tutta l’energia del suo corpo e della sua voce per mostrare cosa lui e la sua band sono in grado di fare. E visto il riscontro del pubblico, che conosceva le loro canzoni e ha saltato con loro, non è escluso che una delle prossime volte il palco non possa essere tutto per loro. Il continuo alzare l’asta al cielo mimato da Devin sembrava proprio la rappresentazione perfetta di questo loro mirare più in alto.

A livello di carica, non sono stati da meno gli Hot Milk, che li hanno seguiti. “From Manchester” come ripete più volte la cantante Han Mee, quasi fosse un sottotitolo del loro nome. Energia allo stato puro, anche loro hanno offerto uno spettacolo a sé stante, grazie a quel piccolo Diavolo della Tasmania con i capelli blu che ruggiva al microfono e saltava da una parte all’altra del palco, ottimamente supportata dai suoi compagni di ventura. Il palco è diventato caldissimo, al punto che lei si è dovuta rovesciare una bottiglietta d’acqua in testa. Gli Hot Milk sono venuti a Milano a portare la loro anima e il loro noise rock a base di riff aspri e assordanti. All’attivo hanno tre Eps e un album ma anche loro sembrano decisamente pronti per spiccare il salto.
Alle 20.59 fumo e scrosci di temporale hanno dato il via allo spettacolo dei Palaye Royale, che hanno costruito sul palco una piccola città, fatta di muri coperti di locandine e pagine di giornali stracciate, con tanto di finestre chiuse. Davanti, imponente, un palco con la scritta al neon Death or Glory, sopra la quale è sistemata la batteria, capitanata al momento da Logan Baudéan, in attesa del ritorno di Emerson Barrett, fermo da fine ottobre per motivi legati al lutto. Sebastian Danzig entra armato di chitarra, con un completo grigio la cui armonia è disturbata in modo perfetto da una maglia di tulle nero trasparente e due fili di perle. Remington Leith arriva carico e vedendolo dal vivo capisci il perché di tutti quegli ormoni femminili in giro per l’Alcatraz.

Nightmares, canzone del 2020, è la scelta di apertura e non poteva essercene una migliore. Un assalto sonoro travolgente, con una progressione quasi ipnotica, resa ancora più esplosiva dalle fontane fredde alle spalle della band, fuochi pirotecnici che ci accompagneranno per tutto il concerto. Death or Glory, title track del nuovo album, non poteva non diventare un inno grazie al messaggio che si porta dietro e alla sua esecuzione travolgente, con un suono diversificato e una forza che non si può ignorare. Così come per You’ll Be Fine, dove il sound si fa aggressivo e la voce di Remington diventa ancora più graffiante mentre parla di un tema delicato come quello della salute mentale. A stemperare l’emotività creata dalla canzone ci pensa lo stesso Remington, impugnando un grosso e colorato fucile di plastica, con cui spara acqua sulla folla. Poco dopo, durante Just My Type, saranno dei grossi palloncini bianchi lanciati sul pubblico a farlo divertire.

No Love in LA è accolta da un boato ma come dare torto a chi lo ha fatto, con quel ritmo quasi allegro che ti cattura mentre critica aspramente la società di quella città, specchio dell’America intera. Come Dark Side of the Silver Spoon con il suo avanzare leggero e danzereccio mentre parla di parla di temi certo poco leggeri disegnando con le parole immagini vivide. Il pop alternativo di Ache In My Heart e la travolgente esecuzione di Addicted to the Wicked & Twisted mantengono alta la carica del pubblico ma il momento clou arriva quando Remington lancia un canotto sulla folla e ci fa crowdsurfing cantando Showbiz, con una struttura irregolare e una lunga parte strumentale, canzone-denuncia delle pressioni che gli artisti subiscono da parte dell’industria musicale. Ciò nonostante, il momento è decisamente divertente e, ancora una volta, in contrasto con quanto contenuto nei testi della canzone del momento.
Prima una struggente Broken, poi Dying In a Hot Tub offrono il momento per le torce dei cellulari, sollecitate dalla stessa band, mentre Fucking With My Head è l’ennesima occasione per ringraziare in italiano: dal pubblico si alza un tricolore che Remington accoglie e indossa a mo’ di mantello. “Siamo niente senza ognuno di voi” grida riconoscente al pubblico prima di intonare For You e Pretty Stranger. Ma è il momento Fever Dream quello tanto atteso, perché è la canzone che Remington – con lo sguardo alzato al cielo – dedica alla madre che non c’è più e chiede a tutti di cantarla con lui: una epopea rock di cinque minuti dalle sonorità operistiche, durante la quale dal pubblico emergono fiori rossi in omaggio alla figura tanto amata di Stephanie.

Dopo la chiusa e i canonici cori “we want more”, la band risbuca sul palco e affida gli encore alla potente Dead To Me, con l’appello a lasciar perdere chi non ci merita, a una struggente Lonely che parte in acustica con Remington solo al pianoforte e poi l’aggiunta della band, mentre il cantante finisce a petto nudo, inquadrato in zoom da moltissimi cellulari, ovviamente. Mr. Doctor Man è l’ultima occasione per scatenarsi con Remington che canta in mezzo al pubblico, seguito da un tecnico affaticato che controlla che il filo del microfono non si tenda troppo.
Un live che ha decisamente superato le aspettative. E che conferma quanto ci ha raccontato Sebastian nell’intervista rilasciata a Rockon qualche giorno prima del concerto e che potete leggere QUI.
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PALAYE ROYALE La scaletta del concerto di Milano:
Nightmares
Death or Glory
You’ll Be Fine
No Love in LA
Just My Type
Dark Side of the Silver Spoon
Ache In My Heart
Addicted to the Wicked & Twisted
Showbiz
Broken
Dying in a Hot Tub
Fucking With My Head
For You
Pretty Stranger
Fever Dream
Encore:
Dead to Me
Lonely
Mr. Doctor Man
