Reportage Live

PAOLO NUTINI è sempre lui, ed è meglio di un’aspirina.

Cronache dal giorno dopo il concerto di Milano del 30 settembre. Sull’eterno ritorno dell’identico: come esporsi al rocker scozzese in una giornata di recupero psicofisico sia una panacea al senso di smarrimento di questi anni.

Paolo Nutini in concerto al Fabrique di Milano. Foto di Davide Merli per www.rockon.it

Articolo di Marzia Picciano | Foto di Davide Merli

Se mi ricapiterà di trovarmi a un concerto dopo una serata particolarmente allegra, e treni (quasi persi) eccessivamente mattutini, spero davvero sia da Paolo Nutini. Il rocker italo-scozzese di Paisley è rientrato solo quest’anno con il suo tour in Italia, dopo una pausa creativa di 8 anni, ed è tornato a Milano, al Fabrique questo 30 settembre esattamente nel mio “giorno dopo”, funzionando meglio di un’aspirina per corpo, mente e cuore. Alcolisti anonimi d’Italia, l’unica prescrizione per il recupero non traumatico del rapporto con la realtà al risveglio è una buona dose di ore di ascolto di Nutini, dal vivo o in alternativa streaming.

Ora, considerata l’attesa per il live sold out ormai da mesi di Milano (al di là della notizia, proprio di ieri, di una nuova data il prossimo anno il 24 giugno, in occasione degli IDays), dubito di poter avere la stessa fortuna due volte; ma è stato, si suol dire, un utile precedente per approfondire, come capita spesso in questi momenti di smarrimento fisico, l’effetto placebo dell’avere certezze e vederle confermate. Parlo dell’esporci a immagini, suoni, musica che conosciamo, amiamo e cerchiamo come guida per riconnetterci con noi stessi e tornare al “qui ed ora”. Con Nutini è andata proprio cosi: i fan di stasera, dalle coppie di innamorati venute a stringersi nella catarsi di questa voce struggente, alle delegazioni di scozzesi che lanciano bandiere al palco, al gruppo sulla cinquantina di timorate fedeli del cantautore (a cui mi sono naturalmente aggregata), proprio nella loro eterogeneità, sapevano benissimo cosa volevano vedere e ne sono senza dubbio soddisfatti. Volevano sentire e cantare quelle canzoni eterne che conosciamo, amiamo e cerchiamo come guida, per riconnettersi con loro stesse e tornare al “qui ed ora”.  

Paolo Nutini in concerto al Fabrique di Milano. Foto di Davide Merli per www.rockon.it

Paolo Nutini è cresciuto, ma è sempre lui. L’ho pensato non appena ho visto arrivare sul palco questo ragazzone dal ciuffo biondo, t-shirt bianca e jeans scuro, il tipo che vorremmo tutte incontrare alla stazione dell’Eni, ma non dannato, con questo tono profondo, rauco, perfetto anche quando viene interrotto da qualche attacco di tosse (che se c’è qualcosa io e Nutini condividevamo ieri era l’acidità di stomaco). Birra in una mano, sorriso un po’ beffardo, un po’ sornione di chi sa già tutto mentre ti prende in giro, ma niente di serio. Sempre affabile, parla con il pubblico, lo prende in giro, dice che le bacia tutte, una ad una, ci manca solo che ci faccia anche il pieno, anche se di piena c’è la sua voce che non è cambiata, è sempre graffiante, drammaticamente energica, ancora, perfetta in una sera uggiosa da primi freddi invernali nel centro della Lombardia. Si, bastano Nutini e la sua voce a riempire il palco, semplicissimo, solo musicisti, proiettati caoticamente addosso alla band, a Paolo, li invadono fino a confondere la visuale dello spettatore, così che resti solo la musica.

Paolo Nutini in concerto al Fabrique di Milano. Foto di Davide Merli per www.rockon.it

Lo spettacolo è una composizione ben orchestrata di momenti che ci presentano il nuovo Nutini, quello dell’ultimo, ambizioso lavoro Last Night In The Bittersweet, più adulto e consapevole delle sue potenzialità canore mentre ci raccontano la sua fulminea carriera: un Superquark di grandi successi in una versione Sky Arte che tiene il pubblico (forse un po’ troppo) assorto nella visione del rocker, attaccato ipnoticamente a questo schermo. Si parte subito con le più recenti contaminazioni da electro-punk (e continui rimandi Peter Gabriel). Quella del nuovo album è una svolta crepuscolare, che aggiunge al suo stile le complessità corrotte e profondamente umane di un personaggio Franzeniano, ritorna all’essenziale, e questo funziona benissimo sul palco. La sferzante e dolorosa nota del rock di Nutini emerge in tutta la sua forza a partire dal pezzo di apertura, Afterneath, intro fatta di urletti su base caustica di suoni, e segue con la pietra angolare a mio avviso dell’album, la ballata dolceamara Acid Eyes. Stranded Words, Radio, Heart Filled Up si susseguono in una sessione pacata, intensa e contemplativa, lasciano intuire l’esistenza di un lavoro, quello di Paolo, di attento e maturo ascolto di se stesso.

Paolo Nutini in concerto al Fabrique di Milano. Foto di Davide Merli per www.rockon.it

Dopo il “periodo blu”, si passa alla sessione chitarre in braccio su sedia da banchi di scuola inaugurata da un sipario targato Doris Day con Dream A Little Dream of Me: qui Nutini riarrangia e reinventa nuovi lavori (non smorzando affatto la potentissima Through The Echoes) ma anche le più datate come Coming Up Easy. Quello che seguirà fino alla fine è un discorso a cuore aperto tra due amici, anche quando abbandona l’intimismo delle chitarre per lanciarsi sulla contorta e implosiva Cherry Blossom e scuote il pubblico non appena si accennano gli accordi di Pencil Full of Lead, per poi tornare a toni più caldi e intensi con Candy, per la gioia di tutte le coppie.

Portando sul palco moltissimo del nuovo album, Nutini, appena 35enne (ma con un repertorio degno dei Rolling Stones) ci parla del suo ritorno alla realtà, che è un processo di maturazione di un ormai insostituibile marchio di fabbrica. Tuttavia, pur nelle variazioni da live, come con la più torva e rock Jenny Dont Be Hasty, o nelle digressioni elettroniche di Everywhere o la springsteniana Petrified, Paolo Nutini è sempre lui, e grazie al cielo. In un mondo che cambia con velocità inquietante, sprofonda nell’incertezza atavica di pandemie ed è capace di accellerare in meno di ventiquattr’ore un’escalation militare internazionale, di fronte alla continua minaccia di uno stravolgimento immediato della nostra realtà, brutale quanto un risveglio post sbornia, operare una strategia di eterno ritorno dell’identico è salvifico, è essenziale. Nutini libera nos a malo con la sua voce da grande padre tra Otis Redding e Al Green quando nell’encore regala finalmente al pubblico un’immensa Iron Sky e come da tradizione, il pezzo in italiano (una acustica Guarda Che Luna di Fred Buscaglione) poco prima dei saluti. Probabilmente ci ha incoscientemente “liberato” in tutti questi anni di silenzio continuando a suonare sui nostri Spotify e infine stasera, portando una ventata d’aria fresca, a indicarci la via per la San Junipero del nostro weekend di recovery da questo mondo brutto e disadorno. Del resto, lo dice anche lui che “we are broken by others, but we mend by ourselves”, e io oggi non ho nemmeno preso un’aspirina.

Clicca qui per vedere le foto del concerto di Paolo Nutini al Fabrique di Milano o sfoglia la gallery qui sotto

PAOLO NUTINI – La scaletta del concerto di Milano

Afterneath
Lose It
Scream
Acid Eyes
Stranded Words
Radio
Heart Filled UP
Dream a little dream of me (Cover)
Through the Echoes
Coming up easy
Cherry Blossom
Petrified
Pencil full of lead
Jenny don’t be hasty
Take me take mine
Candy
Everywhere

ENCORE
Let me down easy
Iron Sky
Shine a Light
Guarda Che Luna (Cover)

2 Comments

  1. Sandra

    01/10/2022 at 19:43

    Fred BUSCAGLIONE

    • rockon

      02/10/2022 at 10:42

      Corretto il refuso, grazie Sandra!

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