Articolo di Roberta Ghio | Foto di Roberto Finizio
E’ l’Ippodromo San Siro che ospita l’unica data italiana di Robert Plant & Sensational Space Shifters, in una calda serata milanese in cui la maggior parte delle persone è in attesa di poter vedere la luna rossa, io di poter vedere Robert Plant dal vivo, magari sotto una luna rossa.
Con anticipo mi reco all’ippodromo ed armata di tutta la mia impazienza entro nel clima, mi rilasso e osservo. Il palco si presenta semplice ed essenziale ad un primo sguardo, ma non posso non notare il quantitativo di “corde” presenti: chitarre elettriche, chitarre acustiche, mandolini, violini, sono solo quelle che riesco a riconoscere, oltre ovviamente agli strumenti che mi aspetto di trovare su un palco. Tutto lascia presagire che gli amici intorno a me ed io assisteremo a contaminazioni interessanti. E l’attesa cresce.
Gli amici intorno a me sono di tutte le età e sicuramente di tanti vissuti: c’è chi ama Plant, chi con Plant ci è cresciuto e chi Plant e i Led Zeppelin ce li ha tatuati nel solchi del viso e dell’anima, lo si capisce dagli occhi. C’è anche un bimbo, avrà 8 o 9 anni, di lui capisco solo che sta crescendo con una cultura musicale di tutto rispetto.
A salire sul palco per primo è Seth Lakeman, lui, il suo violino, le sonorità folk rock e il suo carisma iniziano a portarci nello show che Robert Plant ha preparato per noi.
Giusto un paio di minuti dopo le 21.00, un festoso ritmo etnico ci annuncia che è arrivata l’ora x e lo show sta per iniziare. Salgono i Sensational Space Shifters, tra i quali riconosciamo Seth Lakeman, per ultimo arriva Robert Plant.
Pantaloni in pelle nera, camicia di shantung color vinaccia, criniera raccolta in una coda bassa, prende il microfono, calcio all’asta e via con l’inizio dello show sulle note di “The Lemon Song”.
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Plant è in gran forma, si diverte, balla e ironizza quando saluta Milano dicendo “Brr…che freddo che fa qui, più che nella mia cara Inghilterra” e quando presentando “Gallows Pole” cita musicisti che non suscitano la reazione desiderata da parte del pubblico, esclama ridendo: “Vedo che sono molto conosciuti a Milano!”
Quello a cui assisteremo è un vero e proprio “concerto”, così come da definizione del dizionario della lingua Italiana. Plant e i Sensational Space Shifters non sono cresciuti insieme, si sono conosciuti in età adulta, con provenienze e vissuti molto diversi tra loro. E un leone è un leone. Plant è al centro della scena, ma non la ruba. La voce, i brani, la fisicità e la personalità di Plant sono gli ingredienti principali che amalgamano ed esaltano i musicisti sul palco con lui. Di riflesso, lo spazio, gli arrangiamenti creati sui brani sia di Plant solista sia dei Led Zeppelin consentono ad ogni componente della band di esprimersi al meglio ed aggiungere sonorità e sapori distintivi a quella base già così importante. E’ un’esaltazione reciproca quella tra Plant e i Sensational Space Shifters.
“Hey mama said the way you move, gon’make you sweat, gon’make you grove”, fanno esplodere l’ippodromo e la voce c’è, eccome se c’è! Lui sa ironizzare e lascia che quelle note così rock e dure vengano tradotte e trasformate anche in versione folk dall’ottimo duo composto dal violino di Seth e dalla chitarra di Justin Adams.
E’ lo stesso Justin Adams che ci porta in oriente con l’introduzione pizzicata di Carry Fire e da lì a poco verremo travolti e trasportati da una miscela di sonorità che arrivano da culture musicali differenti e lontane tra loro, il tutto ben esaltato dai colori caldi dal rosso al giallo ocra dall’arancione al viola della scenografia.
L’arpeggio solista di chitarra acustica di Skin Tyson su “Baby I’m Gonna Leave you” è da brivido: se anche quello spazio da tregua a Plant, certamente quel suono così passionale esalta lo storico brano dei Led Zeppelin, dando un’intensità forse ancora più struggente a quel dolore, ormai maturo, di fine anni 60. Per il finale Robert scioglie e libera la sua criniera e il violino di Seth rende gli artigli della voce di Plant ancora più appuntiti quanto entrano nell’anima chiedendoti “Vuoi tutto quanto il mio amore?” durante il medley finale.
La luna all’ippodromo non l’abbiamo vista, ma abbiamo assistito ad uno spettacolo esaltante, potente e convincente di un artista che anche a 70 anni non ha paura di cambiare e trasformarsi, senza tradire, restando in questo modo sempre sé stesso. Un leone è un leone.
ROBERT PLANT – Scaletta del concerto di Milano
The Lemon Song (Led Zeppelin song)
Turn It Up
The May Queen
Black Dog (Led Zeppelin song)
Going to California (Led Zeppelin song)
Please Read the Letter (Jimmy Page & Robert Plant cover)
Gallows Pole ([traditional] cover)
Carry Fire
Babe, I’m Gonna Leave You (Joan Baez cover)
Little Maggie ([traditional] cover)
Fixin’ to Die (Bukka White cover)
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Rainbow
Bring It On Home / Whole Lotta Love / Santianna / Whole Lotta Love (Led Zeppelin song)