Articolo di Serena Lotti | Foto di Davide Merli
La Svezia. La terra felice, il paese dove il sole sorge a mezzanotte, la patria di Ingmar Bergman e dell’Ikea, la fucina geografica che ha dato i natali ai mai dimenticati Abba, Roxette, Europe, The Cardigans e ai più recenti José González, Mando Diao, Hives, Jens Lekman, Blues Pills e all’intera Spotify degli ultimi anni. Perchè la Svezia sta diventando una vera e propria industria delle hit su scala globale, posizionandosi come il primo paese esportatore di musica pop per abitante, sia in termini di royalties che di vendite. Terzo in assoluto, dopo Stati Uniti e Regno Unito, nonostante la Svezia abbia all’incirca lo stesso numero di abitanti della nostra Lombardia.
Il paese si differenzia per essere una palestra di nuovi sound, spesso nati da sperimentazioni e permeati da distorsioni, o da tentativi di rinnovamento o a volte nati dalla celebrazione del vintage di metà secolo. Praticamente un laboratorio musicale d’eccellenza.
E partiamo proprio da qui per raccontare il caso dei Royal Republic. Prendete quattro nerd di bell’aspetto e totalmente pazzi, mettete dentro 2 parti di garage punk degli Hives, 1 parte di Offspring, 1 pizzico di Tom Jones, un bicchiere pieno di pop funky, hard rock, soul e condite con una quantità illegale di luci, glitter e lustrini, shakerate a mille ed ecco qui. Avete ottenuto i Royal Republic.
Partiti da Malmö nel 2007 la band svedese ha macinato già parecchia strada: all’attivo tre dischi e un EP, l’uscita di Club Majesty nel 2019 che è il loro quarto lavoro in studio e, a mio avviso, uno dei migliori.
Lo ammetto, i Royal Republic non mi avevavo convinto al’ascolto. Avevo apprezzato qua e là le sonorità glam sporche e ruvide, la loro natura ironica e sexy, la commistione di dance, rock e punk rimasticata in una versione molto alternative, ma se devo dire che ero stata colpita al cuore direi una bugia.
Per il live in Santeria di ieri sera decido quindi di portare mio figlio di 6 anni, forse più incline di me ad apprezzare il rock and roll terapeutico, adrenalico e di facile ascolto della band di Malmo.
Appena arrivano on the stage il leader Adam Grahn (voce e chitarra), il chitarrista Hannes Irengard, il batterista Pér Andreasson e il bassista Jonas Almén si accendono le luci e il palco si trasforma in un kitchissimo dancefloor di fine anni 70. Outfit acchiappantissimi alla James Bond, acconciature aerodinamiche e scarpe di vernice lucidissime, i quattro sono un cool mix tra i Franz Ferdinand e gli Skiffles col tocco punk dei Jam e dei Clash, sia negli abiti che nelle intenzioni.
L’aria si infiamma di un’energia incredibile, la Santeria si trasforma in un super party all’Odissey e appaiono, proprio come in un back in the days, astroboli, fasci di luci psichedeliche e colorate, lampade stroboscopiche e una quantità immane di testosterone.
Al grido di 80s-inspired extravaganza la band con il frontman più insolente di tutto il Nord Europa si lancia in uno show adrenalico e folle, muscolare e fisico nel senso stretto, con l’ausilio di una chitarra infiammata e urticante che spara suoni garage punk marcissimi e ruvidi, con sintetizzatori sparati a mille e con vagonate di overdrive e riff che danno dipendenza. Già dall’opener Fireman & Dancer ho capito che questi fanno sul serio e inizio a rimangiarmi quello che avevo detto solo 20 minuti prima a due fan davanti al locale “Non mi sembra che abbiano questa grande personalità”…
Il brano è un piccolo diamante grezzo di eclettismo e verve frizzante, con dei riff super catchy che ci fanno letteralemente ribaltare e rendono la Santeria un’onda ballonzolante di gente scatenata. Non ci fermiamo e continuiano a surfare sempre su Club Majesty con Can’t Fight the Disco che è in grado di liberare tonnellate di endorfine. Stiamo molleggiando come scimmie ammaestrate, un pò perchè siamo irretiti dallo show ad altissimo tasso di follia di Adam, tra salti, spaccate, corse sul palco, chitarre in volo planare e un pò perchè questo sound new dance che ti entra nelle vene ti chiede di muoverti così, up and dow, gambe sù, gambe giù e dondola la testa side to side.
Sui bassi acchiappanti di Under Cover ci spingiamo sempre più verso il soffitto tentando il flying di David Copperfield mentre Adam non fa che saltare, inneggiare, ammiccare e sbattersi come un dannato. Si ferma per un secondo “Hi my name is Adam” e guarda tutto il pubblico per poi ripartire nella danza forsennata di una serata scatenatissima. Carico mio figlio sulle spalle e lascio che sia lui a guidare il movimento dei nostri corpi sudati e frenetici al ritmo di quello che è un funky vibe anni ’80 assolutamente irresistibile.
Siamo ancora nei territori di Club Majesty con Like a Lover, Stop Movin e una versione esplosiva di Boomerang e di Anna-Leigh che è probabilmente il miglior esempio di riferimento degli anni 80 di questo ultimo album. Facciamo un passo indietro nella discografia della band e surfiamo su Weekend Man del 2016 con le urticanti versioni di Walk, brano dall’anima trucida e punk e di Kung Fu Lovin con la sua natura dannatamente sixties garage.
Insomma tutto è un complotto per farci ballare e scatenare, per farci perdere e indipendentemente da tutto. Mio figlio scende dalle spalle e si accalca sotto palco noncurante dei poghi scellerati e della gente che salta più in alto di Yuri Chechi, conquistando la bacchetta della batteria con la quale Adam ha tenuto la mandria umana dei fan sotto il suo controllo. Retrocediamo e ci affianchiamo ad un altro genitore con suo figlio sulle spalle. Adam non resiste, li vede bene i piccoletti che stanno lì braccia alzate a dimenarsi come degli impala, dopo avere ammiccato loro più volte con strizzatine d’occhio e linguette, scende dal palco, si butta tra la gente e li fa salire con lui on the stage. I bambini rispondono pronti, uno si mette la chitarra in collo, l’altro si mette a scarrellare col plettro sulle corde sotto la guida di padre idolo Adam, di quello che nei loro cuori e nelle loro menti di bambini resterà l’uomo che li ha fatti salire su un palco durante un concerto rock. Pugnetto di congedo e si ricomincia.
Chiudono con When I See You Dance, Flower Power Madness e Baby. Si trattengono un’eternità dopo il live, salutano, danno le mani, fanno stage diving sul pubblico, lasciano gli strumenti, poi ritornano, risalutano. Come quando alla stazione non riesci a staccarti dal migliore amico col quale ha passato tutta l’estate. Le braccia fanno fatica a staccarsi da loro e Adam ringrazia, sorride, saluta e chiude con un ultimo brano non in setlist. E tutta la Santeria riprende a saltare come se domani non dovesse arrivare mai.
Non si può certo dire che la filosofia dei Royal Republic sia quella di fare musica impegnata o di riflessione ma più che altro è indirizzata nel cementare ancora di più l’idea che la musica può anche essere ironica, dissacrante e perchè no, anche fine a se stessa. Un concerto divertentissimo che è stato un perfetto equilibrio tra punk ed alternative, un continuum citazionista, tra Metallica, Europe, Van Halen, Iron Maiden. Ai Royal Republic non interessa essere raffinati o cerebrali, loro pretendono di essere poliedrici, di abbattere ogni qualsivoglia reticenza compositiva e lasciare spazio all’immediatezza, affidandosi ai suoni sporchissimi dei loro strumenti grazie alla capacità di sapere prendere il pubblico per le palle e dargli esattamente quello che vuole. Insomma come diceva un vecchio slogan che pubblicizzava i materassi dell’Ikea “Buttatevi che è morbido“. I Royal Republic, dio quanto sanno essere soffici.
Il live è finito e torniamo a casa. Mio figlio mi chiede “Possiamo invitare Adam a casa nostra?”. Provo a spiegargli che lui è una rockstar difficile da incontrare e frequentare e il che non ha senso dopo che ha suonato sul palco con lui. Va a casa e mette via il vestito di Batman pianificato per la festa di carnevale di domani. “Io voglio vestirimi come Adam per la festa…”
Prima di andare a letto, col plettro ancora tra le mani, me lo chiede ancora…“Invitalo a casa nostra ti prego…”. Penso che proverò a chiederlo ad Adam Grahn. E’ sufficentemente pazzo da accettare.
Clicca qui per vedere le foto dei Royal Republic in concerto a Milano ( o sfoglia la gallery qui sotto)
ROYAL REPUBLIC – La setlist del concerto di Milano
Fireman & Dancer
Can’t Fight the Disco
Make Love Not War
Under Cover
Getting Along
Underwear
Full Steam Spacemachine
Like a Lover
Stop Movin’
Boomerang
People Say That I’m Over The Top
Walk!
Kung-Fu Lovin
Tommy-Gun
Anna-Leigh
ENCORE
American Dream
When I See You Dance with Another
Flower Power Madness
Baby
