Articolo di Chiara Amendola | Foto di Roberto Finizio
Ammetto che prima di questa sera conoscevo ben poco di Kimbra e solo per merito della sua parte solista in “Somebody that I used to know” di Gotye.
Naturalmente mi sono documentata molto su di lei prima di assaporarla live e ho appreso che è considerata una vera pop star in Nuova Zelanda, al suo terzo progetto discografico. Ma non solo, scopro con piacere che è una sostenitrice convinta dei diritti delle donne e che spesso sui social condivide pensieri sul sessismo quotidiano che incontra come musicista. A questo proposito già in tempi non sospetti, nel lontano 2010, dissimulava abilmente teorie femministe sulla domesticità attraverso i suoi testi, come nel singolo di debutto “Settle Down”.
Difficile immaginare cosa aspettarsi dopo tutto ciò.
Spoiler: dal vivo è fantastica.
La persona che vedo sul palco della Santeria Social Club è molto diversa dalla versione Spotify e Youtube.
Kimbra compare come una Dea celtica, è emozionata e per condivider la gioia della sua prima volta nel nostro Paese, legge un discorso che ha studiato in lingua italiana per salutare i fan “Ciao, il mio nome è Kimbra, questa è la mia prima volta in Italia e sono molto felice”.
Il concerto è una versione acustica di Primal Heart, ultima fatica in studio. Per l’occasione Kimbra ha deciso di “spogliarlo” di tutti i suoni elettronici, regalando una versione piano e contrabbasso.
Lo spettacolo si apre con “Magic hour” accolta da fan super eccitati. Una cosa di Kimbra che è particolarmente degna di nota è la sua voce spontanea. Un’interpretazione che viene fuori a strati diversi: canta, si contorce, ondeggia con il suo abito lunghissimo, indossa dei tacchi vertiginosi, è quasi impossibile pensare che una donna sola possa sostenere tutto ciò contemporaneamente.
È molto concentrata su ciò che dice, sul contatto con il pubblico. Non bada alle apparenze non è artefatta come le foto che trovi su Google. Mi accorgo che cerca di colmare la distanza del palco, vuole comunicare i messaggi che trasmette nelle sue canzoni, come un artista che racconta la sua opera esposta in un museo.
Il live procede con “Plain Gold Ring”, cover del celebre brano di Nina Simone sussurrata in coro dai fan che non vogliono scavalcare la sua voce tanto magnetica e impressionante.
La versione acustica di “Everybody knows” è così toccante che ho quasi dovuto chiedere a Kimbra una pausa. Tanto talento impacchettato in una donna incredibilmente gentile e saggia. Una performance che man mano è diventata sempre più “vera” in cui ha aperto cuore e voce. Il risultato sono canzoni che si sentono così profondamente, strettamente collegate all’umanità, che quasi riesci a capire quanto è stato difficile realizzarle.
“Lightyears”, che nella sua release originale è puro pop energico e passionale, si trasforma in una ballad dalla carica struggente che commuove.
Kimbra è un artista laboriosa e di talento. Ha anche una presenza scenica accattivante e un look distintivo. Sul palco si comporta come una cantante-diva mentre colpisce senza sforzo le note più alte.
Rimango davvero stupita dal personaggio che ho davanti, è difficile da interpretare.
L’unica cosa che sembra mancare, e che lascia un po’ l’amaro in bocca, è l’assenza nel suo repertorio di una canzone abbastanza forte da portarla al livello successivo.
Dunque il mio appello: Kimbra mi sei piaciuta tanto ma ti chiedo, per favore, regalaci una hit!
P.S. Menzione speciale a Jonathan Kluth, polistrumentista folk tedesco che ha aperto la serata in maniera sublime, valendo da solo biglietto e trasferta (e diciamolo pure, è anche un gran figo).
Clicca qui per vedere le foto di Kimbra a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).
KIMBRA: scaletta del concerto a Milano
The Magic Hour
Plain Gold Ring
The Good War
Everybody Knows
Hi Def Distance Romance
Withdraw
Waltz me to the grave
Old flame
Rescue him
Black Sky
Human
Lightyears
Past Love
Version of me
Encore:
Cameo Lover