Articolo di Marzia Picciano | Foto di Andrea Ripamonti
Spoiler: se vi aspettate una minuziosa e dettagliata descrizione del concerto dei Sigur Ros del 4 ottobre presso il Mediolanum Forum di Assago (Milano), sappiate che non l’avrete.
Motivo numero uno: non ha senso descrivere quella che è a tutti gli effetti un’opera teatrale svolta in codice.
Motivo numero due: vorrei raccontarvi dove i quattro di Reykjavík in questa ora e mezzo di pura magnificenza a due tempi hanno portato la mia mente a soffermarsi, volontariamente o meno.
Il pensiero si è iniziato a formare con l’apertura di Untitled #1 – Vaka, seguita da Untitled #2 Fyrsta. Il palco si è colorato di rosso di pixel che deframmentavano volti, dall’oscurità per uscire verso la luce. Come la voce del frontman Jónsi Birgisson ha cominciato a riempire un parterre, a mio avviso, una struttura troppo grande per il raccoglimento interiore richiesto dagli islandesi al loro pubblico, ho cominciato ad articolare l’oggetto della mia attenzione.
Attraversando il piano tormentato di Untitled #3 – Samskeyti, mentre gli ultrasuoni luminosi degli abissi di Svefn-g-englar si accendevano su frequenze basse a lambire lentamente il pubblico, ho pensato alle interconnessioni.
Il Nobel per la Fisica quest’anno è stato dato a tre scienziati di nazionalità diverse, un francese, un californiano e un austriaco, per aver studiato le incredibili implicazioni legate al “entanglement” quantistico. E’ un concetto che, nel poco che ci capisco di fisica, mi ha affascinato: in un sistema con due particelle che si trovano in questa condizione di “legame”, ciò che accade a una particella determina ciò che accade all’altra, anche se queste due sono molto distanti, o non si sfiorano mai. Se una moneta è testa, l’altra sarà croce. Se una palla è rossa, l’altra sarà bianca. E’ un pensiero immediato, diremmo quasi predeterminato. Invece no. Immaginavamo ci fossero regole (quelle che in gergo tecnico chiamano diseguaglianze di Bell) e invece questi tre perfetti protagonisti di una barzelletta le hanno violate, hanno detto, semplificando, che non è così: non ci sono regole, è il caso a determinare questo legame, in breve, l’essenza delle cose che ne sono comprese.
Cosa c’entra, direte, pensando a un concerto che si è immediatamente acceso, passando dalla fragile delicatezza dei primi pezzi alla metallica alt rock di Ny Battery. All’esplosione caotica dei piatti di una batteria disperata, ho pensato al pubblico di particelle che vedevo davanti a me, accanto a me, dietro di me.
Siamo abituati, soprattutto in qualsiasi area che sia più a nord di dove veniamo, a considerarci atomi senza via di fuga, schegge impazzite di una meccanica di un algoritmo celeste che ci assegna un posto, un ruolo, una compagna o compagno da stringere di fronte a performance catartiche, come quella di Untitled #7 – Dauðalagið, o da abbandonare in un eterno saluto. Operando come monadi votate all’autosopravvivenza, viviamo irrisolti nella necessità costante di “prenderci i nostri spazi”, “pensare a noi”, facendo dell’egoismo una soluzione quasi da manuale. Non vogliamo responsabilità verso un ipotetico prossimo da sfamare con buoni sentimenti, amore o soldi, rifuggiamo sistematicamente la possibilità di poter determinare l’altro, anche se lo facciamo, costantemente. Ermeneuticamente ed ermeticamente chiusi nella nostra particella, quanto possiamo essere coscienti del dolore o della felicità che causiamo al nostro sconosciuto prossimo? Come profetizzava in tempi non sospetti Michel Houellebecq “esiste solo un ordito, magnifico, immenso e reciproco”. Con l’aggiunta della variabile caos, aggiungerei “feroce”.
E invece, ho pensato, c’è speranza.
In un live che portano ormai da diverse date in giro per l’Europa, in Italia passando prima per Padova, i Sigur Ros, il gruppo della Rosa della Vittoria originario di quell’atomo di terra lontano lanciato nei mari del Nord si sono fatti interpreti del concetto di particella nella forma più essenziale, a partire dalle sillabe che compongono i testi della band, alle particelle di luce (alternando con veemenza intermittenti stelle polari a fanali di sirene di ambulanze) e di immagini di corpi immersi nell’acqua, dei frammenti di volti di bambini e donne, di cavi del telegrafo su cui si scambiano il posto inidentificabili volatili, dei poligoni della fine trasmissioni sulla chiusura di Untitled #8 – Popplagið. Un codice Morse visivo e uditivo più o meno intenso capace di raggiungere, attraverso i grandi movimenti dell’archetto di Birgisson sulle corde della sua chitarra in Sæglópur, e i sussurri di organi che percorrono Festival, non solo i presenti, depositari della conoscenza di una lingua sconosciuta, inventata con lo scopo di portare un messaggio di speranza, ma appunto, di andare ben oltre, verso la particella che abbiamo contribuito a determinare dall’altra parte del mondo.
L’assenza di alcuni pezzi particolarmente conosciuti e amati come Staralfur e Hoppipolla, non inficia, anzi certifica lo sforzo della band di realizzare, dal vivo, il trattato, non scontato, registrato dal 1994 in avanti, sul ruolo che la musica, al di là della comprensione dei testi, ha nel definire delle connessioni. Ogni pezzo è salutato con un’ovazione, come per Glosoli, un riconoscimento che è a sua volta un messaggio, una particella sparata in una blockchain di amorosi sensi tra un artista che ricerca con criptica dolcezza il suo contrappunto nello spettatore. Ho pensato, finché c’è un mezzo, c’è speranza.
Ho pensato, ricordando i diari della mia infanzia, a quante comunicazioni nascoste si aprono in un nuovissimo alfabeto dal sapore arcaico; a quante particelle possono essere interconnesse da un sottomarino canto di balene che si propaga come un radar per miglia e miglia. Ho pensato che per quanto appariamo distanti, condividiamo e coesistiamo in un numero quantisticamente infinito di condizioni comuni. Ieri sera potevo essere in qualsiasi altra parte del globo, eppure percepivo di trovarmi in uno spazio molto più esteso di quello determinato dagli spalti, con una molteplicità di particelle sotto lo stesso stemma, stonante rispetto al lirismo del momento, dell’Olimpia Milano. Alla fine ho pensato che non capisco ancora bene le connessioni e soprattutto ignoro la portata del caso dietro le valutazioni quantistiche sulle nostre vite da particelle isolate in drammi e gioie quotidiane, ma che qualcuno oggi ha detto che siamo ancora all’inizio della ricerca, e al momento non ho nessuna fretta.
Clicca qui per vedere le foto del concerto dei Sigur Ros al Mediolanum Forum di Milano o sfoglia la gallery qui sotto.
SIGUR ROS – La scaletta del concerto di Milano
Set 1:
Untitled #1 – Vaka
Untitled #2 – Fyrsta
Untitled #3 – Samskeyti
Svefn-g-englar
Ný batterí
Gold 2
Untitled #7 – Dauðalagið
Smáskifa
Set 2:
Glósóli
Untitled #6 – E-Bow
Sæglópur
Gong
Andvari
Festival
Kveikur
Untitled #8 – Popplagið