Articolo di Marzia Picciano | Foto di Federico Buonanno
Che sapore hanno i venerdì d’estate? Specificamente, nel momento tra le sette e il buio, a Milano, al Carroponte con tutto quel verde bruciato di giallo, lucine, Birkenstock e cielo airone cinerino di polvere e rumori di città. Sa di concerto dei The Lumineers, ovvero della band formata dal nocciolo duro di Wesley Schultz e Jeremiah Fraites, tornati in Italia per un 4 date con Live Nation. Ieri a Milano, venerdì 23 giugno, si è svolta la prima, per presentare l’ultima fatica del 2022, BRIGHTSIDE, nell’omonimo World Tour. Non scontato, considerando che siamo ufficialmente nella stagione dei concerti, e ieri a qualche km di distanza si esibiva Rosalia, ma Wesley e Jeremiah contano su un pubblico di fedeli appassionati dalla nomination a due Grammy Awards nel 2012.
Da quell’anno, e in particolare da quella Ho Hey che ha dato il ‘La’ al successo interplanetario della band, ne sonon successe di cose. Se qualcuno (tipo la sottoscritta) pensava (erroneamente) che il duo avrebbe cambiato magari membri, ma non la produzione, ponendosi come la risposta made in Denver a Band of Horses e affini, beh, si è (mi sono) sbagliato. In quattro album i The Lumineers sono cambiati, mai abbandonando la propria anima fondamentalmente folk, spaziando nel lavoro psicologico su narrazione e testi (come con la “pastorale americana” di III), e musicalmente fino al caps lock di BRIGHTSIDE che li porta su ritmi più elettronici e rock ballad da grandi avvicendamenti personali (che a me ricordano, ma ormai li vedo dovunque, i miei amatissimi The National, e un po’ Noah and The Whale).
Insomma è l’ora della golden hour perfetta, riesco anche a sentire un po’ di Abraham Alexander che apre il tour, talentuoso nella sua riproposizione rock blues a tinte gospel choir (bella scelta!), e poco dopo compaiono sul palco loro, Wesley e Jeremiah, subito sulla passerella, accompagnati dalla violoncellista Lauren Jacobson, Byron Isaacs (basso), i polistrumentisti Brandon Miller e Stelth Ulvang, vera mina vagante del gruppo, pianista scalzo agile quanto una trapezista del Cirque Du Soleil. Dall’avvio con BRIGHTSIDE si capisce che i The Lumineers non hanno intenzione di concedere pause ma solo scariche elettriche a colpi di tamburi e piano.
Tutta la scaletta di ieri è una cantata di gruppo continua, non riuscivo a trovare qualcuno che non le conosceva tutte o almeno il ritornello. Cori e salti per Cleopatra, Ho Hey, Flowers In Your Hair, ma anche per le ultime canzoni, già assorbite dai fan, come NEVER REALLY MINE in una versione che suona ancora più rock dal vivo, soprattutto con l’intro solo chitarra di Wesley. Questi gioca con il pubblico invitandolo a cantare “I couldn’t give you up” nel ritornello quasi beatlesiano di AM RADIO, celebrazione della fine di una storia d’amore; ricorda lo spavento di un incidente con sua moglie in WHERE ARE WE, invita alla gratitudine per quello che si ha e dove si è.
Gratitudine: di essere vivi, e poterlo dire. E’ questa la sensazione che i The Lumineers lasciano nell’ascoltatore dopo ogni pezzo, la chiave di lettura forse del loro successo. Per quanto il loro repertorio conti pezzi molto più tormentati, dall’Ophelia di Cleopatra, alla trilogia di III (vale la pena segnalare l’intimismo di My Cell, con un basso batteria che segava l’anima in quel cubicolo claustrofobico a vetri pitturati che è l’amore). Eppure dal vivo, soprattutto, la nota di profonda speranza che ogni loro pezzo porta come un germoglio in siccità spunta dalle crepe ancora più forte, lascia la possibilità di vedere la rotta di domani e non sentirsi persi. E’ un po’ il messaggio che voglio darci chiudendo con REPRISE, dove si dialoga con AM RADIO, mentre si va “headed for the lights“, e l‘eterna Stubborn Love.
In breve, quello dei The Lumineers è davvero un bel concerto. La band americana fa parte di quella specie non estremamente estesa, purtroppo, di gruppi musicali che vedono nella performance uno standard minimo di resa della grandezza della loro musica (anzi, maggiori le intemperie, meglio è: basta vedere il risultato di pochi giorni fa a Madrid sotto la pioggia). Poche volte si ha la possibilità di trovarsi di fronte a band che dimostrano di essere genuinamente e incontenibilmente felici di essere lì a fare quello show, anche se si tratta di coreografie ormai da repertorio come la verticale di Ulvang sul piano a muro mentre i The Lumineers passano, in un ben riuscito dialogo tra storie di grande insoddisfazione e delusione, da Leader of Landsline ai Rolling Stones di You Can’t Always Get What You Want – e lì tutti i miei tentativi di allenare il power house per stare dritta sulla mia testa hanno ceduto alla certezza che no, non basta la pratica, ma anche tanto sano sprezzo del pericolo e saggia scelleratezza.
Qualcosa di simile visto recentemente sono gli Arcade Fire, dove il mantra o l’imperativo categorico è: suonare, TUTTO. La sensazione di appagamento che da’ la presenza di un gruppo unito sul palco, che salta dalla runaway fino all’orchestra muovendo vorticosamente un numero non indifferente di strumenti che siano piani, pianole, la batteria di Jeremiah, viola e violoncello (che poi era la cifra originaria del duo-trio), è qualcosa che il pubblico vuole e brama, è la coralità di intenti finalmente riuscita in un gruppo di persone, ognuna con il suo stile e follia, il contraltare perfetto a un’era di esasperanti ed esasperati personalismi. Questo al netto delle esperienze e percorsi solisti di Fraites e Wesley: i The Lumineers risolvono il tema del “non c’è noi senza noi“, abbattono il concetto di uomo forte al comando e consentono la libertà dell’essere io senza soccombere al tu. Ciò che ne esce è fantastico, e chi è lì lo sa. E io, forte di questa lezione di vita, ringrazio gli americani e me ne torno a casa, felice di ri-trovarmi in tutta questa bellezza corale.
Clicca qui per vedere le foto di THE LUMINEERS in concerto al Carroponte (o sfoglia la gallery qui sotto)
THE LUMINEERS – La scaletta del concerto di Milano
BRIGHTSIDE
Cleopatra
Ho Hey
Angela
A.M. RADIO
Dead Sea
Flowers in Your Hair
WHERE WE ARE
My Cell
Slow It Down
Charlie Boy
NEVER REALLY MINE
Gloria
Sleep on the Floor
Ophelia
Leader of the Landslide/You can’t always get what you want
BIRTHDAY
Big Parade
Encore
Donna
Submarines
REMINGTON
REPRISE
Stubborn Love