Articolo di Michela Ravasio | Foto di Federico Buonanno
Quella dell’otto novembre è una giornata fredda e dal cielo limpido, ma so già che tutto si farà più bollente e torbido non appena la musica riempirà il Live Club di Trezzo sull’Adda. Mi chiedo cosa mi aspetterà in questa serata dalle note hard rock proprio mentre varco la soglia del locale e guardo il pubblico sparpagliato all’interno. Qualcuno è al bancone a prendersi una birra, altri sono già impazienti sotto al palco. Sinceramente è la prima volta che capito a un concerto con così tante teste bianche, tuttavia ne capisco il motivo: sullo stage potremo vedere presto musicisti super tecnici con una gran bella carriera alle spalle.
Spike
Ad aprire le danze è Spike dei Quireboys. Lo vediamo salire sul palco con il suo turbante in testa e il foulard al collo, nello stile un po’ rock-gitano che lo contraddistingue. È solo, con una chitarra acustica fra le braccia. “Ce l’abbiamo fatta!” urla trionfante, riferendosi al fatto che le band siano approdate a Trezzo con il loro bus solo alle 19.15, per colpa di un incidente in autostrada.
Nonostante il ritardo di trenta minuti rispetto alla scaletta, ai presenti poco importa, lo hanno aspettato senza troppe lamentele. Vederlo riempie subito di entusiasmo tutti quanti e non posso biasimarli. “Lui è davvero tanto rock!” commenta un over sessanta vicino a me e lo voglio riportare qui perché nella sua genuinità quest’affermazione è davvero riassuntiva. Spike è rock in ogni movimento, nel suo atteggiamento, in quel modo di parlare strascicato, nel modo in cui beve birra dal suo bicchiere.
Non è solo una questione di estetica, anzi, tecnicamente niente da dire. Senza praticamente fare un soundcheck parte a fare i suoi pezzi in acustico. La sua voce sembrava graffiante già in cuffia, ma ora che la sento dal vivo capisco perché venga spesso paragonata a quella di Rod Stewart. Con la sua acustica, Spike si esibisce sempre con un gran sorriso sulle labbra e una bella grinta, parla col pubblico e lo fa divertire con qualche battuta. Se dovessi scegliere uno zio buontempone accanto a cui sedermi durante il cenone della Vigilia di Natale, lui sarebbe assolutamente la mia prima scelta. Certo, se portasse anche la birra e la chitarra!
The Dead Daisies
Arriviamo al nostro headliner, questa sera con una formazione d’eccezione.
Fondati nel 2012 dall’australiano David Lowy e dal neozelandese Jon Stevens, i The Dead Daisies sono un supergruppo che negli anni ha visto alternarsi più e più membri, tutti quanti provenienti da band i cui nomi sono incisi con la punta del coltello nella corteccia della storia del rock. Tra i molti non possiamo non ricordare Dizzy Reed dei Guns N’Roses o Darryl Jones che, tra i molti, suonò il basso per Miles Davis, Clapton, Sting e i Rolling Stones.
Questa sera possiamo vedere sul palco una formazione d’élite. Alla chitarra c’è proprio uno dei fondatori, David Lowy, mentre alla voce John Corabi che giusto dal ‘94 al ‘96 sostituì Vince Neil dopo che fu licenziato dai Mötley Crüe. Ci sono anche Doug Aldrich (Whitesnake, Dio) alla chitarra, Brian Tichy (Whitesnake, Billy Idol, Ozzy Osbourne) alla batteria e Michael Devin al basso (sempre Whitesnake). Insomma, diciamo che giusto un po’ di loro hanno collaborato con la band britannica di David Coverdale.
Le aspettative sono alte, soprattutto se facciamo conto che parte del pubblico sembrava essere composta da intenditori. Impossibile però che dei musicisti così tecnici possano deludere i presenti e già dalle prime note di Resurrected si capisce che in pochi se ne andranno lamentandosi di questo concerto.
Aldrich oltre a una bionda chioma fluente e a degli addominali scolpiti, sfoggia tutta la sua maestria alla chitarra. Non mancano degli assoli trascinanti nè dei momenti di solo in cui le luci dei riflettori sono tutte per lui. Durante la serata, ruba spesso la scena anche a Corabi, nonostante come frontman sia – oltre che un mostro di talento – un bravissimo intrattenitore.
Tra così tante personalità abbaglianti, tutta la mia stima è catturata dal batterista Brian Tichy. Il suo solo mi ha stregata e non riuscivo a capacitarmi di quante bacchette potesse avere nascoste dietro la batteria. Nel perpetuarsi di violenza a cui sono sottoposti rullanti e piatti, c’è un attimo in cui fa volare in alto una bacchetta dietro l’altra, con così tanta veemenza da mandarle a sbattere fin contro l’impalcatura su cui sono montati i riflettori.
Tra brani recenti come Unspoken o Born to Fly e pezzi più datati come Lock’n’Load e With You and I, la band si esibisce anche in qualche cover tra cui Fortunate Son.
Dei piccoli assaggi di cover ci vengono dati anche durante la presentazione dei membri del gruppo, un momento che non ho gradito molto e che, all’intro di Smoke on The Water fatto da Aldrich, non ha apprezzato nemmeno un duo di cowboy dal grigio codino e dalla camicia a quadri davanti a me. Effettivamente per quanto epica, una scelta un po’ da chitarrista esordiente che vuol fare il rocker al primo concerto in un pub di paese.
I musicisti che compongono i The Dead Daises – e qui mi ripeto – sono davvero dei mostri della tecnica, perfetti. Sanno come si sta su un palco, usano un balsamo per capelli di cui solo le rockstar conoscono i segreti, intrattengono il pubblico senza farli mai stancare. L’unica pecca che ho riscontrato è che, per quanto bravi, la scaletta è risultata un po’ ridondante al mio orecchio e il mio entusiasmo per la loro musica, a lungo andare, è un po’ scemato.
Abbandonando il Live Club e tornando al gelo di questo Novembre, mi sono comunque accoccolata nell’eco delle note dei The Dead Daisies. Un tipo così genuino di hard rock, d’altronde, non può lasciarti che una sensazione di calore che ti brucia vivo in petto.
Clicca qui per vedere le foto di The Dead Daisies in concerto a Trezzo sull’Adda (o sfoglia la gallery qui sotto).
The DEAD DAISES – la scaletta al concerto di Trezzo sull’Adda
Resurrected
Rise Up
Dead and Gone
Make Some Noise
Miles in Front of Me
Face I Love
Unspoken
Bustle and Flow
Something I Said
Lock ‘n’ Load
Born to Fly
With You and I
Fortunate Son (cover di Creedence Clearwater Revival)
Mexico
Midnight Moses (cover di The Sensational Alex Harvey Band)
Encore:
Long Way to Go
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