Articolo di Chiara Amendola | Foto di Andrea Ripamonti
Questa sera ho fatto una scelta, azzardata e sicuramente anacronistica.
Al french touch degli Air ho preferito la nuova scena indie Uk, fedele alle emozioni dei primi anni duemila. Perché sono curiosa e celatamente malinconica.
Avrò sbagliato?
I primi 30 minuti in Santeria Toscana sono abbastanza insofferente: non amo essere circondata da gente più giovane di me, che beve e veste male, inoltre l’open act, tale Lana Lubany, ha un qualcosa di “wannabe Rosalia” un po’ irritante. La sua esibizione dura il tempo della fila per la birra, decisamente troppo lunga.
Azzardare che la reputazione del quintetto The Last Dinner Party (TLDP) le precede sarebbe un eufemismo peccaminoso, vero è che le storie delle performance teatrali della band di Brixton sono diventate estremamente rumorose, nonostante i singoli a disposizione si possano contare sulle dita di una mano.
Parliamo di un progetto discografico che si è costruito in meno di un anno raccogliendo fama nel circuito indie londinese per poi approdare all’apertura dei concerti dei Rolling Stones – con così tanto successo da aver trascorso la prima fase di carriera respingendo le accuse di “prodotto industriale”. Probabilmente è per questo motivo che l’atmosfera di attesa pre-spettacolo è piena di eccitazione.
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Il gruppo emerge puntuale in abiti medievali e stivali pesanti che proiettano sagome su uno sfondo nero, i corpi in scena ricordano immediatamente un dipinto di epoca rinascimentale. Parte l’ouverture orchestrale di Prelude to ecstasy: legni, ottoni, archi con piatti fragorosi e arpa scintillante. Un opening così grandioso e audace al punto da sembrare vagamente provocatorio.
Quando le luci illuminano la scena la prima sensazione è che qualcuno abbia rovesciato il contenuto del cesto della biancheria del reparto costumi di una band prog-pop: fronzoli napoleonici, mandolini e persino qualche abito del 21° secolo.
Lo show inizia in un silenzio reverenziale mentre TLDP ripercorrono gran parte dell’album di debutto in un set di un’ora.
Il sound è un inebriante miscuglio di glam pop teatrale degli anni ’70 e di cupo indie rock degli anni ’90. La frontwoman Abigail Morris si presenta come una combinazione cosplay tra Jane Austen, Kate Bush e una giovane Helena Bonham Carter, racchiudendo più qualità da star nel suo abito fluente. Durante lo show rende la sua voce un’esperienza che attraversa palpitando tutto il corpo, si pavoneggia, striscia, si lancia in ogni ritmo di batteria e cambio di tonalità selvaggio.
Bastano i primi 5 minuti del live per confermare che la tradizione pop-barocca di TLDP non è solo spettacolo, poiché ogni angolo del palco ospita una fervida dimostrazione di eccellenza musicale riconosciuta da un pubblico palesemente eccitato.
La chitarrista Emily Roberts sfoggia una St Vincent e regala assoli rock con un sorriso da Monna Lisa, Il basso solido di Georgia Davies ha invece strisce di tessuto bianco che volano e toccano le forme spigolose della chitarrista Lizzie Mayland. Dall’altro lato la tastierista Aurora Nishevci sembra un’intrusa fuori luogo e più morigerata rispetto al resto della compagnia.
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In effetti “Prelude to ecstasy” è un album intenso che affronta la sfida dell’essere donna. I brani parlano di sessismo, relazioni madre-figlia, di desiderio, peccato, sessualità e tradimento.
“Caesar on a TV Screen” – che entra subito in scaletta recita – “Every night / When we say goodbye / I know that I can / See myself as a man / When I put on that suit / I don’t have to stay mute / I can talk all the time / ‘Cause my shoulders are wide” – un’idea potente di un profondo desiderio di mascolinità come donna, in cui Morris si riferisce alle spalle larghe come a un tratto maschile; sta dicendo al pubblico che se solo fosse un uomo non si parlerebbe di lei e la sua voce sarebbe ascoltata, e infatti termina – “And just for a second / I can be one of the greats / I am Caesar on a TV screen / … Everyone will love me.”
Feminine Urge è un ritratto quasi sofferente del rapporto madre/figlia che racconta un trauma generazionale. La canzone si concentra sul fatto “difficile da digerire” di cui tutte le ragazze si rendono conto, che le loro madri sono proprio come loro; donne che cercano di capire la vita – “Here comes the feminine urge, I know it so well / To nurture the wounds my mother held.”
Voci operistiche di vetro tagliato, cambiamenti improvvisi di umore e diversi climax oscuri sparsi ovunque, oltre a testi che trasformano i problemi in tragedia criminale. Le transizioni ritmiche e stilistiche sono gestite in modo così fluido da non sembrare mai episodiche o tortuose.
L’equilibrio tra svolazzi orchestrali e percussioni energiche è sorprendente in Beautiful Boy, opulente e tonante, acclamata a gran voce.
Lo show procede con toni quasi drammatici decantando amore e dolore: Sinner, Portrait of a Dead Girl, Mirror.
La gotica My Lady of Mercy carica di chitarra, è un viaggio di gioia saffico dall’inizio alla fine con un lirismo ironico e una strumentazione oscura e meditabonda che mette gli ascoltatori in ginocchio in dolce esultanza.
In effetti, l’unico vero problema di questa serata è che tutto finisce troppo presto: la mancanza di materiale, in qualche modo inevitabile per una band con solo una dozzina di canzoni registrate al suo nome, ha decretato una chiusura precoce di uno show in crescendo.
Spetta a Nothing Matters – il brano da cui è partito tutto – il compito di chiudere il concerto e mettere a tacere ogni dubbio rimasto con un canto catartico e purosangue.
C’è una ragione per cui Justin Hawkins dei Darkness canta le loro lodi, così come Florence Welch, il cui massimalismo opheliaco è l’influenza più evidente dI TLDP: la loro musica è davvero adorabile.
Clicca qui per vedere le foto del concerto di TLDP a Milano o sfoglia la gallery qui sotto:
The Last Dinner Party – la scaletta del concerto di Milano
Burn Alive
Caesar on a TV Screen
The Feminine Urge
Beautiful Boy
On Your Side
Gjuha
Sinner
Portrait of a Dead Girl
Mirror
My Lady of Mercy
Nothing Matters
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