Articolo di Roberta Ghio | Foto di Oriana Spadaro
Arriva alla Santeria Toscana 31 di Milano, The Leading Guy, pseudonimo di Simone Zampieri, con il Twelve letters Tour. Ho conosciuto “live” Simone poco più di un anno fa, era solo con chitarra e alcune nuove canzoni. Lo ritrovo qualche mese dopo con all’attivo il secondo album (Twelve letters appunto), un brano in italiano fresco fresco di uscita e una band. Uniche costanti: la sua bellissima chitarra (che non lascia mai) e una sana dose di fascino (che non guasta mai), seconda solo alla sua voce, dolce e graffiante, quella voce che a suo tempo mi fece pensare: non posso perdere un suo tour! Il pubblico che lentamente popola il locale è senza età, dalla giovane coppia con bimbo di circa tre anni, a capelli bianchi con telefoni pronti, passando per millennials innamorati dai look originali e birre sollevate.
Ad aprire la serata, Faro, progetto musicale nato poco più di un anno fa da Angelica e Alessandro. Lui, alla chitarra, ci cattura con la sua simpatia e quella capacità comunicativa, accattivante e semplice, che ti fa entrare subito in sintonia con loro. Lei, ci conquista con la sua voce e le sua dolcezza. Insieme, la freschezza di due ragazzi giovani che sanno ben tenere il palco e con la loro arte ci raccontano di Pasta rossa, di cose capitate a Londra, con Londra cielo grigio e delle paure di Diventare grandi.
Il tempo di un rapido cambio palco e la sala piomba nel buio totale, solo la scritta (in caps) THE LEADING GUY illuminata di fronte a noi, ci consente di scorgere i musicisti (Luca Monreale alla chitarra, Valerio Simonini alla tastiera, Michele di Gleria alla batteria ed Enrico Geromin al basso) prendere posto. Pochi istanti ed eccolo arrivare, Simone. Senza molti preamboli la serata prende il via con le note di Sense of awe ed è subito il sussurro che si insinua per poi esplodere grazie ad un arrangiamento di nota in nota sempre più incalzante, una batteria che non perdona e un gioco di luci che porta dal fulgore alle tenebre. Non tarda ad arrivare il graffio che penetra, come i dubbi e le domande di Black, potente, cupa, resa live ancora più profonda, disarmante. Si torna leggeri, almeno nel ritmo, con la trascinante In my town per poi coccolarci con Click Clock. Voce graffiante, dicevo, ma che nel tempo di una nota sa diventare dolce come un miele che scalda o sottile come un filo che avvolge, esaltata sapientemente dagli arrangiamenti, che iniziano lievi per lasciarla penetrare sinuosa nella nostra mente e diventano via via sempre più potenti e farla scoppiare dritta nello stomaco. Simone, look total black e capelli sul volto, ci introduce alcuni brani, ma lascia che sia la musica a parlare, interpretando la maggior parte delle canzoni ad occhi chiusi, lasciandosi trasportare, insieme a noi, dalle sue note. Ci facciamo abbracciare da Carry On per poi percorrere sonorità folk dal sapore di terre lontane, di polvere e diavoli, con The Temple, avvolti in luci rosse. Con Melville torniamo leggeri, ancheggianti e sorridenti e arriviamo dritti all’ultimo brano uscito, il primo in italiano per il cantautore bellunese, Per non andare via, accolto a braccia aperte da un pubblico partecipe in ogni momento del live, dai più intimi ai più scanzonati.
Ed è sufficiente una piccola presentazione “un motivo per non scrivere in italiano, è che bisogna avere rispetto per chi l’ha saputo fare meglio di chiunque” a scatenare un immediato urlo e, all’attacco, altrettanto immediati brividi: Se ti tagliassero a pezzetti, brano di De André, rivisto da The Leading Guy per l’album tributo Faber Nostrum, cantata da una sala felice, emozionata e grata per quell’omaggio. Land of hope, con la sua allegria chiude la prima parte del live, ma poca attesa e riecco comparire Simone, solo con chitarra, proporci un brano del passato, Behind the yellow field, rivista in nuova veste, essenziale, sospesa, quasi una preghiera. Raggiunto da Valerio Simonini, ascoltiamo Oh Brother, con le note della tastiera che scivolano via morbide e veloci su una interpretazione sofferta, che scuote. In questo mood, emotivamente frastornati, la scossa. Il pop di Times ci prende e ci fa ballare, cantare, scambiarci sorrisi, abbandonarci. Ci salutiamo su “una canzone nuova, che nuova non è, doveva entrare in Twelves Letters, ma mi sembrava troppo allegrotta”. Dream of, ovvero, il rock che non mi aspetto, le chitarre e il basso che non mi aspetto, il momento scatenato che non mi aspetto. Sorridenti e felici, ci salutiamo.
Una serata densa, di riflessione e leggerezza, di momenti intimi e scanzonati. Una serata di musica fatta con arte e cuore. Un artista che spero di rivedere presto.
Clicca qui per vedere le foto The Leading Guy in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
THE LEADING GUY – La setlist del concerto di Milano
Sense of awe
Black
In my town
Click clock
Carry on
To see as the good sees
The temple
While the dogs are barking
Mr wolff
Melville
Per non andare via
Se ti tagliassero a pezzetti
Oh Father/Can you hear me
One of them
Land of hope
Behind the yellow field
Oh brother
Times
Devil in my arms
Dream of