Articolo di Marzia Picciano
La luce nell’oscurità ha voce e forma di Nika Roza Danilova, nata Nicole Rose Hummel, nota più ampiamente a chi ieri, 1mo ottobre 2023, era con me alla Santeria Toscana, come Zola Jesus, progetto musicale che va avanti dal 2009 e mette insieme il goth, il buio, i synth e una voce pazzesca, forte e tonante come quella di un richiamo divino. Precisamente, ha la forma di una ragazza dalla carne quasi diafana, capelli dark lunghi fino ai lombi, vestita di nero, occhi chiari segnati di eyeliner e un pianoforte, e basta. Ma tanto basta.
Vorrei poter dire che quello che ho, abbiamo visto ieri fosse in linea con le mie aspettative – non lo è stato, le ha aggirate e ribaltate proponendomi una nuova verità. Certo, non mi aspettavo le sue sonorità robotiche di drum base, scostanti e messe insieme da echi umani profondi. La performance che ripropone ne la formula di Alive In Cappadocia, il set up che la Danilova ha realizzato in una cappella di duemila anni fa in Turchia è che il focal point di questa tournee europea, é un a-solo o duetto con piano. Perdoneremo alla Santeria di non essere il Complesso Monumentale di Santa Croce a Firenze, dove si é esibita all’alba pochi giorni fa. Ma il risultato é stato comunque inaspettato.
Si apre un altro scenario. Questo perché se tutte le testate online amano riportare che Zola Nika é “la regina del lo-fi goth, un miscuglio alienante e in bassa fedeltà di (no-)wave aggiornata, detriti industriali e gotiche perversioni” e cio’ é vero anche per il suo ultimo lavoro del 2022, Arkhon, alla sottoscritta é parso di avere di fronte un Cristo svelato, incredibilmente umano e toccante. Che si é pure preoccupato di annoiare il pubblico, con questa sessione di ritrovamenti interiori.
No, Nika tranquilla: non ci hai annoiati, non potresti, al contrairo ci hai storditi. C’era chi pregustava un’ora di lisergie oscure e nichilismo industriale senza soluzione di contuinità, e chi mente. Abbiamo messo da parte le ipotesi di una serata a riscoprire Ian Curtis Lydia Lunch e gli Swans, e ci siamo trovati un’eroina delle falangi nere e bianche, niente di più classico, niente di più potente. Quella voce, cosi forte sin dal pezzo con cui inizia la sua performance (Krunk) non l’abbandona e connota cosi precisamente la sua essenza che saremmo veramente superficiali a volerne trovare necessariamente un contrappunto, anche se nella mia mente é balenata la Tori Amos che porta il suo piano rock come la rivendicazione del femminismo, affidando la propria immagine a uno strumento cosi alto, cosi poco brutale, cosi lontano dall’idea del palco, e pretendere di avere successo.
No, qui Nika Danilova, nel suo approccio DYI, se ne frega ampiamente e fa appello alla nostra sensibilità: avete ancora tempo e voglia di sentire una ragazza, pesantemente vestita di tulle nero, spaccarvi i timpani mentre solo con le sue corde vocali e un pianoforte vi ricorda quanto piccoli siete e quanto piccoli rimarrete? Soprattutto quando s’imbarca sul lamento di Didone (Dido’s Lament) dell’opera del compositore inglese barocco Henry Purcell? Pensate, siamo alla Santeria e ci sentiamo anche un po’ di lirica. E che dire del canto di guerra ucraino tra madre e figlio Plyve kacha?
Sacralità é la parola chiave, e no, non é per i richiami del nome d’arte della stessa al cristianesimo. Potremmo subito dire che Zola Nika Jesus é una sorta di sacerdotessa, ma sarebbe scontato, quasi banale. Sarebbe banale anche cercare di limitare il romanticismo a volte jazzato che risplende in alcuni passaggi di una Sea Talk in versione essenziale. L’elettronica, la Danilova, l’ha messa da parte: continuando la sua polemica con la tech-enthusiast e futurologa Grimes, in questo mondo pieno di “digitale” (parola che una volta era un aggettivo, oggi sostantivo tanto spazioso quanto inconcreto) e “fluido” (per citare un luogo comune che si, un po’ ci ha stancato), in cui l’AI ci dice che possiamo creare le nostre realtà alternative, l’artista prende il piano, ci sfida a rimanere attenti e non stupiti, ci ricorda quanto queste occasioni di incontro sono importanti. Teniamolo a mente, perche il rischio é svegliarsi come degli schizzati luddisti (o non svegliarci affatto).
E’ questo il senso quindi dietro Alive in Cappadocia? Spogliare Zola Jesus della sua armatura goth, lasciare l’ugola, trasferirla sul più emotivo degli strumenti, denudarsi per denudarci? Per me é stato come accorgermi, nei miei migliori incubi, di girare senza mutande, e di non riuscire ad ovviare a tale situazione imbarazzante si, ma più che altro piena di sensi di colpa. Quel vuoto che sbatte nello stomaco quando ci accorgiamo che qualcosa non va, sia esso vero o onirico, ci sveglia nell’inconscio, se fossimo piu svegli risparmieremmo anche un sacco di sedute dallo psicanalista. E’ qualcosa di estremamente naturale e davvero non serve costruire troppe strutture semantiche per renderlo chiaro, anzi, serve decostruire, arrivare all’osso, al midollo, sezionare l’ansia, il groppo che si annoda sullo sterno e ti rovina ogni buon momento, ricordandoti che no, non te lo meriti. Se la Danilova ha evidentemente un amore per Emile Zola, possiamo prendere la sua opera in prestito per individuare il milieu emotivo e caotico che nell’inallerare con forse troppa velocità tutta la scaletta, pezzo dopo pezzo, sul piano, che a volte lei stessa si scorda di suonare.
Tra frotte di ammiratori e diligenti costrutture di inutili e sfavillanti sovrastrutture sociali e personali, in cui il nostro ego va perso in dettagli come in un set di Wes Anderson, mostrarci nella nostra nudità ha un non so di che di rivoluzionario e coraggiosamente scabroso: davvero siamo sicuri di riuscire a gestire la luce di tale oscurità? Potremmo farci accecare. Nika dice: Milano, sei venuta fin qui, sapevo che non mi avresti delusa. Speriamo davvero di non deluderci nemmeno noi.
ZOLA JESUS: la scaletta del concerto di Milano
Krunk
Soak
Sea Talk
Lick the palm
Into the Wild
Dido’s Lament (Henry Purcell cover)
Wiseblood
Siphon
Witness
Skin
Night
Desire
Plyve kacha
Encore
Dead & Gone