Reportage Live

L’universo parallelo di UNCLE ACID AND THE DEADBEATS. Foto e scaletta di Milano

Nell’unica data Italiana del loro tour, alla Santeria Toscana 31, i misteriosi inglesi hanno trasportato il pubblico su un nuovo mondo lisergico

Articolo di Alessandro Cebrian Cobos | Foto di Federico Buonanno

Dalla Scozia giù fino al Belgio, poi in Francia, in Spagna e ritorno; di lì si passa attraverso le Alpi, verso l’Ungheria e su fino alla Polonia per poi concludere a Berlino.

In un tour così fitto, nel quale praticamente hanno suonato in un paese diverso ogni sera, Uncle Acid and the Deadbeats sono riusciti a inserire anche una data a Milano, l’unica in Italia, nella quale hanno trasportato per un’ora abbondante il pubblico del Santeria Toscana 31 in un universo parallelo.

Li accompagnano in questo tour due band ospiti: i Gaupa dalla Svezia, guidati da una frontwoman sciamanica con un’impressionante dominanza del palco, hanno aperto la serata.

I Blood Ceremony invece hanno un sound più retro, con un saldo riferimento al metal classico in stile New Wave of British Heavy Metal, sul quale innestano melodie medievaleggianti o prog folk con il flauto traverso della cantante. Entrambi portano un piccolo repertorio che inizia a scaldare il pubblico.

E poi finalmente arrivano gli headliner. Entrano sul palco, ma è difficile vederli. Del resto l’idea è proprio quella: che Uncle Acid non sia una persona, ma piuttosto un’entità, formata dai 4 musicisti. Prova ne sia il fatto che inizialmente questo era lo pseudonimo del cantante/chitarrista solista, prima che passasse a un più verosimile Kevin R. Starrs.

E quindi rimangono per tutta la serata in controluce, e il frontman suona leggermente chino, in una posa grottesca e sinistra che fa sí che i capelli lunghi gli pendano davanti alla faccia. Insomma è difficile riconoscere i loro volti, ed è più facile concentrarsi su ciò che viene proiettato dietro di loro.

Una produzione “Mt. Abraxas Pictures”, nella quale si mescolano vedute di montagne brulle, truppe di bikers in sella alle loro moto, donne provocanti quanto beffarde.

Una patina primi anni ‘70 copre le immagini e restituisce visivamente la musica degli Uncle: è come se fossimo fermi ai tempi del violento concerto di Altamont, quando il sogno hippy si è incrinato, pochi mesi dopo Woodstock.

Le immagini alle spalle della band cambiano: diventano le sagome dei musicisti, riprese live ma modificate con strani effetti psichedelici che le rendono iridescenti, multicolore, poi sgranate come stampe di fumetti, poi tremolanti come una fiamma. Inizia a sorgere il dubbio che queste sagome siano da intendere come i veri Uncle Acid and the Deadbeats; che la band in controluce sia solo, appunto, un’ombra di un’entità che in questo momento sembra molto più reale.

E forse – ma forse è la musica che me lo fa pensare – forse in questo momento il mondo mostrato in quelle immagini è più reale del nostro? Un mondo desolato, inquietante, ma più vero del vero?

Ma appunto, deve essere la musica che me lo fa pensare. Perché gli Uncle hanno un modo particolare di farti entrare nel loro loop. Forse la voce acuta di Starrs, sempre doppiata dal chitarrista ritmico Vaughn Stokes, serve da sirena ammaliante in questo mix.

Forse i riff, fitti come la maglia un colino in cui vengono versati i Black Sabbath, lo stoner metal e lo psych rock anni ‘60, alla fine della filtratura trattengono quell’essenza ipnotica contenuta da sempre nel blues in tutte le sue forme ed evoluzioni.

Forse sono le chitarre, che suonano come dei cavi elettrici attraversati da migliaia di volt, a farmi il lavaggio del cervello, manco fosse un Trattamento Ludovico in forma sonora.

Sta di fatto che mano a mano che si susseguono i pezzi mi distacco da quello che succede attorno a me, il Santeria, il pubblico, ed entro nel lento vortice degli Uncle Acid and the Deadbeats.

A ripensarci lucidamente, il giorno dopo, ricordo molti momenti speciali: l’apertura con “Mt. Abraxas” e quel riff lentissimo, ineludibile, a metà canzone; la fiammata nucleare, proiettata sul muro, a tempo con il primo colpo di batteria nell’intro di “Shockwave City”; il ritmo serpentino e avviluppante di “Ritual Knife”.

Ho certamente sorriso quando la batteria di “Dead Eyes of London” mi ha fatto venire in mente il surf rock e la musica beat, fuori dal loro contesto abituale; ma semmai dovrei parlare di una ricontestualizzazione, come mi hanno dimostrato gli stessi Uncle Acid introducendo “Melody Lane” con le note di “Paint It Black”.

E poi gli assoli sono stati particolarmente soddisfacenti: mai gratuiti né autocelebrativi, avevano quasi una funzione narrativa in alcuni momenti selezionati, in cui quel ruolo non apparteneva alla voce e alle parole.

Eppure nonostante tutto questo, dopo il lungo feedback che ha chiuso il concerto, non avevo l’impressione di aver assistito a dei momenti discreti, ma di essermi svegliato da un continuum onirico; un secondo lungo un’ora. Non c’è stato un bis, che avrebbe potuto salvarmi da questo risveglio. Il mondo nuovo degli Uncle Acid and the Deadbeats si è concluso di colpo, lasciandomi con il desiderio di viverlo ancora… al prossimo live.

Clicca qui per vedere le foto degli Uncle Acid and the Deadbeats in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)

UNCLE ACID AND THE DEADBEATS: la setlist del concerto di Milano

Mt. Abraxas
Mind Crawler
Shockwave City
Death’s Door
Pusher Man
13 Candles
Ritual Knife
Dead Eyes of London
Crystal Spiders
Melody Lane
I’ll Cut You Down
No Return

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