Reportage Live

YARD ACT in concerto a MILANO. Punk just want to have fun. 

La folle band di Leeds è tornata in Italia per promuovere il nuovo disco “Where is My Utopia” in Santeria Toscana 31 a Milano. Un concerto tutto fucking good time con una quota di dadaismo 2.0. Se era l’utopia quella che cercavamo forse qualcosa ieri sera abbiamo intravisto. Di sicuro abbiamo capito che gli Yard Act usano il surrealismo come chiave per interpretare il presente e lo fanno benissimo, anche a costo di rimetterci le ginocchia.

Articolo di Serena Lotti | Foto di Giorgia De Dato

Prendi un gruppo di scappati di casa con un frontman maestro nello sprechgesang (ah la casa è Leeds, UK), mettici una pandemia in mezzo, condisci con un pò di critiche sul tardo capitalismo e sulla fatica di tirare a campare, aggiungici una grattata a grana grossa di Pulp, Beck, Cake, buona new wave e una sifonata di post-punk ed ecco fatto. Il piatto di Yard Act è pronto per essere mangiato, ed è adatto agli stomaci di tutta la famiglia. Non voglio ridurre il valore della band inglese ad una ricetta vista su Real Time ma questa è un pò la chiave del successo della band capitanata da James Smith: un’amalgama perfetta degli elementi di cui sopra e oltre che hanno come coefficente unico la pungente e sardonica satira inglese. In modo più o meno semplice? Sì, a mio avviso. Bob’s your uncle praticamente.

Ai tempi dell’album di debutto The Overload, candidato al Mercury Prize nel 2022 e acclamato da critica e pubblico, con i suoi statement acuti, personaggi memorabili e sarcarsmo tagliente gli Yard Act si presentavano come eredi della tradizione post punk con anche il compito gravoso di fare da storyteller di una società decadente e della fucking classe politica britannica. Il nuovo lavoro “Where’s My Utopia?“, uscito a marzo via Island, mostra una svolta leggermente diversa. A parte l’allentamento della matrice grezza e sporca, le sonorità appaiono chiaramente molto più sperimentali con un’attitude ad espandersi nei voluttuosi mondi del funk.

Ad aprire Murkage Dave, talentuoso e interessante interprete inglese di R&B e neo-soul che ci ha trasportato nelle ammalianti ambientazioni del garage. Dall’ East London a Milano per accompagnarci in uno dei più belli opening act visti negli ultimi periodi; suoni strutturati, grande ironia e un’onestà emotiva che ci fa restare con le facce incollate sul palco.

45 minuti dopo ecco gli Yard Act catapultarsi on the stage, con nuovi elementi mai visti: due vocalist strafighe. Fin da subito notiamo una linea cromatica comune tra la band. L’arancione e le sue declinazioni, insomma è una palette che racconta una storia. Quella delle uniformi dei carcerati, “The prison overall coloured shirts”.

Non sono più i ragazzi del punk didascalico e un pò scolastico che abbiamo imparato ad amare. Oggi con questa nuova (o rinnovata?) identità pescano in generi diversi spiegando che tradurli in performance potrebbe essere una sfida. Una sfida che vincono a mani basse. Come pensavo proprio sotto al palco della Santeria qui riporto il mio umile pensiero “Quando Dio ha distribuito le skills ai nuovi frontman della Gen Z, James Smith stava sicuramente in prima fila”.

Smith è un pazzo, un instancabile leader che mitraglia 1.000 parole al secondo stando sempre dentro le ritmiche, è un credibilissimo SturmundDranger 2.0, è uno che nel 2024 riesce ad essere qualcosa che non si è mai visto (nonostante ricordi Damon Albarn e Jarvis Cocker in modo impressionante), è il nerd che non puoi non amare, è il frontman che sul palco e non si mette a fare la punta al ca* *. Ballate che del domani non v’è certezza.

Senza dare al pubblico il tempo di elaborare questa nuova dimensione, Smith imbraccia il microfono e da il via a questo atto unico in cui il denominatore comune sarà una pazzesca pleasure.

Il tempo di godere di questi intrecci di rap e calypso pop nella scelta di apertura An Illusion, seguita da Dead Horse e il live inizia un’accellerata folle con lo spoken word di Smith che pezzo dopo pezzo raggiungerà velocità impressionanti.

Il mix eclettico di suoni ci arriva addosso con prepotenza, la band ci trasporta in una festa di fine anno, in un crazy party dove tutto ci è concesso, saltare, buttarci addosso le birre, spintonarci in poghi forsennati (su Witness (Can I Get A?) e Overload si scatenerà un mini girone dantesco nelle prime file) mentre l’effetto strainante e dadaista si fa sempre più intenso.

Se c’è una cosa che ho capito stasera è che il mio nuovo Dream Job, pezzo sul quale si realizza una performance divertentissima con un groviglio di corpi, coreografie strampalate, passi di danza improvvisati e cacofonie varie, è fare la vocalist danzante degli Yard Act. Che fosse pianificato o meno, questo momento fai-da-te in cui le due coriste rubano letteralmente la scena alla band resterà memorabile. Dream Job mostra tutta la follia della band e la capacità di interpretare il mood out of the box senza apparire cheap. Come diceva Tommaso Marinetti “Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.” E dio solo se se non c’è stato del dadaismo stasera.

Menzione doverosa e necessaria per le chitarre penetranti del bellissimo Sam Shipton i suoi baffi hypster alla Charles Bronson (e che potrebbe facilmente essere scambiato per un Idles) e per la sua prova eccelsa, nonchè per le line di basso scandalosamente groovy di Ryan Needham, anche lui elemento fondamentale per la perfetta riuscita di questo live act.

Non mancano una serie di riarrangiamenti ed evoluzioni sui pezzi del precedente Overload come Pour Another e Pay Day e c’è ancora lo spazio per un tocco di teatro d’avanguardia con Dark Days scelta a caso (no non è a caso, è sempre la stessa in tutti i live) da parte di un ragazza nel parterre attraverso una improvvisata e trashissima “Ruota della Fortuna”. Se c’era intento comico lo stesso è stato degnamente perseguito.

Andiamo in chiusura con i 10 memorabili minuti di The Trench Coat Museum che vede gli Yard Act accompagnati da Murkage Dave e le cantanti/ballerine Lauren Fitzpatrick e Daisy J.T. Smith, intraprendere un groove serratissimo ed ipnotico. Una doccia di psichedelia.

Impossibile non cogliere la lezione, tra gli altri, degli LC Soundsystem e di Beck; gli Yard Act di oggi sono più melodici, più intrisi di rock elettronico che post punk con una serie infinita di altre suggestioni e riverberi.

Insomma la nuova esperienza della band di Leeds è un upgrade a tutti i livelli, visivi, sonori ed interpretativi. Se il post-punk è stato un veicolo utile per la band, la nuova direzione intrapresa dagli Yard Act si realizza in forma che si è facilmente adattata al palco dal vivo, servendo bene sia alla loro visione che alla band stessa, espandendo prima di tutto la loro gamma sonora con innesti elettronici e hip-hop. C’è stato tutto stasera, fuorchè overthinking, per citare la stampa inglese. Stasera gli Yard Act ci hanno spiegato come ci si diverte duro e quanto loro siano in realtà ancora più punk attitude di prima.

Il tempo è volato stasera.

Time flies when you’re having fun.
Time flies when PUNK having FUNK.

Clicca qui per vedere le foto degli YARD ACT in concerto a Milano o sfoglia la gallery qui sotto.

YARD ACT: la scaletta del concerto in Santeria a Milano

An Illusion
Dead Horse
When the Laughter Stops
Grifter’s Grief
Pour Another
Fizzy Fish
We Make Hits
Dark Days (Sorteggiato da una fan tramite la Ruota della Fortuna)
Witness (Can I Get A?)
Down by the Stream
Dream Job
Payday
The Overload
A Vineyard for the North

Encore:
100% Endurance
The Trench Coat Museum (con Murkage Dave)

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